Consideriamo ora la casella IB: regime politico autoritario con economia di libero mercato. Se nel mercato operano le forze della concorrenza,in particolare quella internazionale, anche questo è un modello incoerente, per cui o cessa il regime autoritario o cessa il libero mercato.


 

La rivoluzione dell'89, che in Francia spazzò via lo stato mercantilista, si sviluppò quando si erano oramai affermate una borghesia mercantile e una piccola proprietà coltivatrice, che, rispettivamente, nel settore artigianale, industriale e commerciale e in quello agricolo e delle attività connesse, avevano dato luogo a un mercato pullulante di operatori, che anelavano alla libertà di
concorrenza.

 

3.   Segue. I modelli coerenti.

Il modello della casella IIIB caratterizzato da regime autoritario ed economia collettivista invece è coerente e suscettibile di equilibrio. Il collettivismo pone le leve fondamentali del potere economico nelle mani del potere politico e il regime autoritario dà forza agli ordini con cui si gestisce il sistema collettivista. La finanza pubblica è solo una ancella della attività economica che è quasi tutta pubblica, ma ci sono imprese pubbliche che praticano prezzi ad altre imprese pubbliche o ai consumatori secondo le regole del piano collettivista e servizi pubblici finanziati con imposte, decise dal potere politico collettivista.

L'analisi teorica, corroborata dall'esperienza storica, per altro, mostra che esso ha scarsa efficienza economica. E quindi anche un basso sviluppo economico e culturale.

 

Anche i modelli della casella LTB — i regimi politici autoritari, con economia dirigista-statalista — sono modelli di equilibrio, almeno dal punto di vista economico. Anche per essi si può dire che le leve del potere politico autoritario sono rafforzate da quelle del potere economico pubblico e viceversa. Qui esiste il mercato, i suoi costi e prezzi sono ampia mente influenzati dalle decisioni del potere centrale. Ed i tributi e le spese pubbliche sono stabiliti da esso, in modo autoritario: paternalistico tenendo conto di quelli che appaiono essere i bisogni dei cittadini, un po'come i padri con i figli a carico; oppure dispotico, con favori per gli uni a danno degli altri; o con una combinazione di queste condotte. Come l'esperienza dimostra, un sistema di mercato coerente con questo modello è quello tendenzialmente monopolistico, perché l'intreccio fra potere poli-
tico ed economico favorisce l'emergere di imprese che dominano sul mecato ed i vincoli dirigisti dell'economia pubblica frenano la concorrenza.

L'esempio storico maggiore è costituito dai regimi politici autoritari del seicento e settecento con economia cosiddetta mercantilista, in cui il governo attuava penetranti regolamentazioni e interventi mediante gravami ed esoneri fiscali e sovvenzioni e mediante imprese dotate di licenze pubbliche privilegiate, allo scopo di favorire l'economia nazionale e/o suoi particolari settori.


 

Ma gli equilibri economici e politici di questo modello possono essere spazzati via dal fatto che in esso, a un certo punto, la mancanza di concorrenza, dà luogo a ristagno o declino economico, mentre il regime politico autoritario non garantisce che i detentori del potere siano sempre illuminati. A sovrani capaci e amanti del bene dei sudditi succedono sovrani inetti e/o avidi di
potere e denaro che si buttano in avventure militari estenuanti; inoltre nei regioni autoritari la successione nel potere autocratico può dare luogo a lotte che
portano alla sua dissoluzione.

 

Ed ora consideriamo le caselle IAelI quelle dei regimi politici democratici, con riguardo all'economia pubblica e al suo rapporto con l'economia di mercato, Troviamo, anche qui, come nei modelli autoritari una bipartizione fra ordinamenti economici tendenzialmente di libero mercato e ordinamenti economici tendenzialmente dirigisti e statalisti. Va aggiunto che, spesso, la realtà sta nel mezzo, con oscillazioni verso l'un modello o l'altro, a seconda dei partiti al potere. Tuttavia, perché vi sia
una democrazia politica, non vi può essere un sistema economico troppo estesamente dirigista. In esso i cittadini non sarebbero realmente liberi.
D'altra parte le democrazie aspirano al benessere economico e sociale e questo è possibile solo se vi è una crescita a un livello di reddito prò capite abbastanza elevato. E ciò non può avere luogo né essere preservato, se vi è un eccesso di dirigismo (cfr.
Sen, 2004 pp. 50 ss.). Ma neppure se vi è un liberismo estremo, per cui i soggetti a basso reddito non sono
tutelati socialmente e si sviluppano grandi squilibri sociali. E in questo tipo di modelli che si inserisce l'impostazione dell'economia pubblica in termini di scelte individuali della scuola di « scelte pubbliche »: nella misura in cui la sua analisi in termini di economia positiva vale, il dirigismo non appare valido, in quanto le scelte principali, in questa impostazione, in termini di economia positiva, sono quelle che si effettuano sul mer-
cato e l'economia pubblica integra e corregge quella di mercato, non
lo domina. Ma l'approccio della scuola di scelte pubbliche vale anche
per esaminare come e perché si sviluppa o permane il dirigismo.

Nelle democrazie, dall'ottocento, così, si è sviluppato un ampio « stato del benessere », alimentato da un ampio sistema fiscale, ad opera anche di governi conservatori come quello di Bismark, sotto la spinta dei movimenti politici socialisti e del pensiero di studiosi di finanza pubblica come il Wagner  la cui scuola, a causa di ciò, fu detta di «socialismo della cattedra».Così si è giunti, man mano al grande stato del benessere della seconda metà del XX secolo Ma nell'era dei mercati globali, i sistemi di finanza pubblica dei paesi ad economia di mercato perdono alcuni dei caratteri benesseristi precedenti, in quanto le imprese e i capitali tendono a spostarsi ove le imposte sono più moderate e si traducono maggiormente in servizi pubblici.