L’organizzazione

Introduzione

 

ORGANIZZAZIONE

 

Dei tre elementi degli ordinamenti giuridici, l’organizzazione è quello meno noto e studiato perché, per lungo tempo, si è pensato che il diritto (inteso come sinonimo di ordinamento) si esaurisse nelle norme e nei loro effetti nei rapporti tra i soggetti.

Nell’ambito dell’organizzazione, si è poi distinta l’organizzazione costituzionale da quella amministrativa. Alla prima è dedicata gran parte della Costituzione. La seconda trova solo la sua testa di capitolo (art. 97) nella Costituzione ed è, poi, disciplinata dalle leggi ordi­narie. Per lungo tempo, si è pensato che, mentre l’organizzazione costituzionale avesse un’importanza fondamentale nella vita del cittadino, altrettanto non potesse dirsi per l’organizzazione amministrativa.

In passato ciò era vero, perché gli apparati amministrativi erano poca cosa. Si pensi, per avere un’idea dello sviluppo delle organizzazioni, che nel 186i, al momento dell’unificazione, in Italia i dipendenti delle pubbliche amministrazioni rappresentavano solo lo 0,50% degli abitanti, mentre ora costituiscono circa il 10% degli abitanti.

Un secondo motivo per il quale l’aspetto dell’organizzazione amministrativa è passato, finora, in secondo piano è costituito dalla concezione esecutiva dell’amministrazione. Anche in questo caso, con l’ampliarsi dei compiti e delle dimensioni dell’amministrazione, ci si è resi conto del fatto che essa prende decisioni importanti e svolge compiti fondamentali, per cui il suo aspetto organizzativo non può essere sottovalutato.

 

Norme sull’organizzazione

 

Così, come si è visto per le norme e come si vedrà per i soggetti, anche l’organizzazione viene oggi sottoposta a norme. Per cui, accanto alle norme sui soggetti e a quelle sulle norme,

Vi sono norme sull’organizzazione.

In questo caso, il fenomeno è ancora più evidente, perché co­me si è accennato le norme sull’organizzazione dello Stato sono in larga parte contenute nella Costituzione. Ciò vuoi dire che non si è ritenuta sufficiente la fonte primaria, ma si è ricorsi alla fonte gerar­chicamente superiore, quella costituzionale, che offre maggiori garan­zie di stabilità, perché più complessa da modificare.

Più di metà della Costituzione italiana, dall’art. y~ all’art. 139, ècostituita da norme dedicate all”’ordinamento della Repubblica”. In questa parte, sono disciplinate:

l’organizzazione costituzionale: funzioni, strutture, procedimenti de­gli organi di vertice dell’ordinamento (Parlamento, presidente della Repubblica, governo, Corte costituzionale);

                  l’organizzazione della magistratura, considerata come un ordine au­tonomo e indipendente da altri poteri (Consiglio superiore della ma­gistratura, organi giurisdizionali);

l’organizzazione amministrativa, costituita dai ministeri, dalle Regio­ni, dalle Province e dai Comuni.

 

4.3

Riserva di legge sull’organizzazione amministrativa

 

Mentre la Costituzione può entrare anche in molti dettagli dell’orga­nizzazione costituzionale e della magistratura, non può fare altrettan­to per l’organizzazione amministrativa. Questa, infatti, è così ampia da non poter essere disciplinata tutta dalla Costituzione.

Sull’organizzazione amministrativa la Costituzione stabilisce alcuni principi (come ad esempio quello del pubblico concorso per l’ac­cesso, e altri che saranno esaminati più avanti) ma, poi, dispone una riserva di legge. Essa, cioè, stabilisce che l’organizzazione amministra­tiva deve essere regolata dalla legge (art. 97: “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge [...]”).

La riserva di legge che si trova anche in molte altre parti della Costituzione, per materie diverse dall’organizzazione può essere as­soluta o relativa, a seconda che la legge debba regolare la materia interamente o in parte.

La riserva di cui stiamo parlando è relativa. Ciò vuoi dire che non ogni aspetto dell’organizzazione amministrativa deve essere rego­lato con legge. Ad esempio i ministeri non possono essere istituiti o modificati se non per legge. Ma le divisioni, che sono gli uffici nei

quali le direzioni generali si ripartiscono, possono essere mutate con semplici decreti ministeriali.

 

4.4

Il concetto di organizzazione

 

L’organizzazione è un fenomeno complesso, in cui si rilevano i seguenti elementi:

le funzioni o compiti pubblici che debbono essere svolti;

     il disegno organizzativo prescelto per lo svolgimento di tali funzioni

      procedure da seguire per porre in essere i compiti;

mezzi finanziari e personali attribuiti per lo svolgimento delle fun­zioni.

Tutti questi elementi sono essenziali perché vi sia un’organizzazione: ad esempio, non si può disporre con legge lo svolgimento di funzioni, senza dire quale ufficio debba provvedervi e con quali mez­zi. Tuttavia, i vari elementi non stanno nella stessa relazione tra di loro. Infatti, disegno organizzativo, procedure e mezzi sono strumen­tali alle. funzioni, che rappresentano, in un certo senso, l’obiettivo da perseguire.

 

4.5

Le funzioni

 

Si può dire che non vi sia legge che non attribuisca funzioni a uffici pubblici. Anche norme che riguardano rapporti interprivati si risol­vono spesso nell’accollare funzioni all’organizzazione pubblica. Ad esempio, l’obbligo di registrare taluni beni (ad esempio, le automobi­li), disposto per assicurare la circolazione giuridica (ad esempio, la vendita e l’acquisto) ditali beni (e quindi per garantire, ad esempio, l’acquirente circa il titolo di proprietà del venditore), si risolve in un’attribuzione di funzioni alla pubblica amministrazione, che deve provvedere alla tenuta dei registri (in questo caso, il pubblico regi­stro automobilistico).

Vi sono, ..però, leggi che attribuiscono più direttamente compiti a uffici pubblici già esistenti o creati ex novo: ad esempio, che introdu­cono autorizzazioni, prevedono incentivi, dispongono espropriazioni ecc.

Queste leggi di solito non attribuiscono le funzioni a singoli uffici ma, genericamente, ad apparati di settore (ad esempio, il mini­stero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato). Altre norme a carattere interno provvederanno, poi, a stabilire quale ufficio, nel mi­nistero, dovrà svolgere le nuove funzioni.

 

4.6

Il disegno organizzativo

 

Per comprendere il disegno organizzativo, occorre chiarire che, nel passato, le funzioni non venivano attribuite a uffici, ma a persone: ad esempio, il re attribuiva a una persona della sua corte il compito di seguire un determinato affare.

Col passare del tempo, da una parte, le funzioni sono state attribuite sempre più in via permanente, anziché temporanea; dall’altra, invece di attribuirle a persone, sono state attribuite a uffici. Ciò non vuoi dire che, poi, non si debba sempre far ricorso a persone, per svolgerle concretamente. Ma comporta che la funzione sia oggettivata nell’ufficio, perdendo quel carattere personale che essa aveva prece­dentemente. La persona sarà solo titolare dell’ufficio.

Fatto questo passo (dalla persona all’ufficio), si sono aperte infi­nite possibilità di organizzare gli uffici, perché essi prescindono dalle persone. Diventa allora rilevante il disegno organizzativo, e cioè la scel­ta di uno dei tanti modelli organizzativi possibili. Di questi parlere­mo nella parte sulla pubblica amministrazione. Qui basta accennare che, nell’ordinamento italiano, come in gran parte di quelli stranieri, si segue il principio organizzativo della divisione del lavoro per settore. Così, ad esempio, vi è un ministero che si interessa dell’agricoltura, uno che si occupa dell’industria, uno che interviene nel commercio con l’estero ecc.

 

4.7

Le procedure

 

La complessità delle funzioni delle organizzazioni moderne è tale che tutte le attività si svolgono secondo procedure: vi è chi deve prende­re l’iniziativa, chi fa l’istruttoria, chi decide. Nei fatti, le procedure sono molto complesse, perché alle tre fasi indicate si aggiungono qua­si sempre una fase di programmazione dell’attività e una fase di con­trollo.

L’iter procedurale si svolge raramente nello stesso ufficio. Di fat­to, è prevalente il caso che debbano intervenire più uffici, spesso di ministeri o apparati diversi. La stessa divisione del lavoro tra uffici fa sì che debbano necessariamente sentirsi più uffici. Ad esempio, se si deve decidere sulla destinazione di un’area sita in una città, in una proprietà demaniale di rilevante interesse artistico, oltre all’ufficio ur­banistico del Comune, saranno interessati alla procedura la direzione generale del demanio (del ministero delle Finanze) e l’ufficio centrale per i beni ambientali, archeologici, architettonici, artistici e storici (del ministero dei Beni culturali e ambientali).

Quanto si è rilevato rende anche conto dello stretto legame che corre tra il disegno organizzativo e la procedura: si può dire che essi sono due aspetti, il primo statico, il secondo dinamico, di uno stesso fenomeno, che è quello della distribuzione delle funzioni e dei relativi poteri.

 

4.8

I mezzi

 

Come s’è detto, un ufficio non può operare se non è provvisto di mezzi e, in particolare, di personale.

Il personale che svolge oggi attività nell’organizzazione pubblica è

come s’è rilevato in posizione diversa dalle persone che collabo­ravano, una volta, con l’autorità pubblica. Separata la persona dall’uf­ficio:

                  l’ufficio è ordinato secondo il princ4tuio della continuità, anche se il titolare dell’ufficio lo lascia o muore; in questo caso, è previsto che vi sia un supplente o vicario in via temporanea e, poi, vi è l’attribuzio­ne della titolarità dell’ufficio ad altra persona. Ad esempio, se il tito­hi~e dell’ufficio di presidente della Repubblica muore, non viene a mancare l’ufficio, perché il presidente del Senato diventa presidente della Repubblica supplente, finché una nuova persona non viene elet­ta alla carica di presidente della Repubblica;

                  il patrimonio della persona è separato da quello dell’uj5~cio. La perso­na non può appropriarsi dei beni dell’ufficio (altrimenti commette il reato di peculato, punito dal codice penale, art. 314) e, viceversa, i suoi beni personali sono da lui utilizzabili liberamente senza che l’or­ganizzazione pubblica possa intervenire;

                  il rapporto che lega il titolare dell’uj]icio all’organizzazione è separato dalla funzione: il titolare dell’ufficio è tenuto a svolgere le attività per le quali è stato scelto; la funzione va al di là dell’attività di ogni sin­golo titolare di ufficio.

I titolari degli uffici possono essere di due tipi.

i.      Eletti o nominati per un periodo determinato: ad esempio, il presi­dente della Repubblica e i parlamentari (che sono eletti rispettiva­mente dal Parlamento e dal popolo) o i presidenti degli enti pubblici (che sono nominati).

 

2.       Scelti per concorso, a tempo indeterminato: ad esempio, i magistrati e gli impiegati pubblici.

Mentre i primi non sono legati da un rapporto di lavoro (si chiamano, per tradizione, funzionari onorari, perché non hanno uno stipendio, ma solo indennità), i secondi hanno un vero e proprio rapporto di lavoro con lo Stato (si chiamano, perciò, funzionari professionali).

I diversi modi in cui vengono scelti (l’elezione, diretta o indiretta, o il concorso, detto anche criterio del merito) dipendono dal tipo di cariche: alle cariche che comportano responsabilità maggiori si acce­de, di solito, con l’elezione, perché si preferisce il principio democra­tico del controllo popolare periodico sulla scelta delle persone che le ricoprono.

Altri mezzi sono i beni (mobili e immobili) di cui dispone l’uffi­cio, i mezzi finanziari ecc. Di questi parleremo nella parte sulla pub­blica amministrazione.

 

4.9

Due nozioni essenziali: organo ed ente

Prima d’andare avanti, occorre definire organo ed ente, che sono due nozioni essenziali per capire il diritto pubblico.

Organo è un’articolazione dell’organizzazione che agisce per l’ente pubblico e imputa, quindi, all’ente sia gli atti che pone in essere, sia gli effetti degli stessi. Un esempio potrà chiarire meglio il concetto: la Giunta è organo dell’ente pubblico Regione; di conseguenza, gli atti della Giunta sono atti della Regione.

evidente che il concetto di organo serve a ridurre il numero dei centri di imputazione. Bisogna, però, non cadere nell’errore di ritenere, per l’affinità delle parole, che l’organizzazione sia un com­plesso di organi. Come s’è visto, il concetto di organizzazione è mol­to più vasto. Esso non solo comprende molte altre figure soggettive, oltre agli organi (ne fanno parte, ad esempio, anche gli enti pubblici che sono persone giuridiche), ma è composto come s e visto di molti altri elementi (funzioni, disegno organizzativo, procedure, mez­zi).

Gli organi sono di diversi tipi. Si distinguono:

                  in relazione alle funzioni, in consultivi (se svolgono compiti istrut­tori) e deliberativi (se svolgono compiti di decisione);

                  in relazione al titolare, in individuali (o monocratici) se vi è pre­posta una sola persona, e collegiali se ne è titolare un collegio (e cioè più di una persona: il direttore generale è organo individuale, il Con­siglio di Stato collegiale).

Ente pubblico è la figura soggettiva cui l’organo è riferito. Ente pubblico è l’equivalente di persona giuridica pubblica.

L’ente pubblico sarà esaminato analiticamente più avanti. In pas­sato il maggiore degli enti pubblici era considerato proprio lo Stato:

per identificare lo Stato come ente, si parlava di Stato-ente (o di Stato-persona giuridica). Ma ci si è poi resi conto che le attività delle parti, che compongono lo Stato, solo raramente vengono a esso im­putate o attribuite. Ad esempio, una decisione del ministro dell’Indu­stria, del Commercio e dell’Artigianato non si imputa allo Stato; con­tro di essa si fa ricorso al giudice amministrativo chiamando in giudizio direttamente il ministero. Per cui è difficile sostenere ancora che lo Stato è ente pubblico.

La realtà degli organi e degli enti presenta difficoltà che compli­cano notevolmente il quadro finora presentato, anche se rappresenta­no eccezioni. In particolare:

                  vi sono enti che, per scopi determinati, diventano organi dello Stato: ad esempio, la Banca d’Italia è un ente pubblico ma, quando svolge le funzioni di vigilanza sulle aziende di credito, è titolare di un organo statale (perché agisce nella veste dell’Ispettorato del credito e del risparmio, organo statale istituito nel 1936 e soppresso nel 1947 per attribuirne i compiti alla Banca d’Italia);

vi sono organi che però, a certi fini, hanno personalità giuridica; ad’ esempio, all’Azienda per gli interventi sul mercato agricolo (AIMA), che è organo dello Stato, per facilitarne l’attività contrattuale, è stata attribuita la natura di ente (quindi, è in corso la modificazione della sua denominazione in Ente per gli interventi sul mercato agrico­lo EIMA).

 

 

Lettura. Da Le basi del diritto amministrativo

di Sabino Cassese

 

Lo Stato è configurato nel nostro ordinamento come un soggetto uni­tario (ente), che agisce attraverso i suoi organi (i ministeri). Questi organi svolgono funzioni che possono essere in contrasto tra loro. La possibilità di contrasti cresce se si guarda alle funzioni esercitate dagli enti pubblici che agiscono in sostituzione dello Stato.

Nel brano che segue’ viene spiegato perché la configurazione unitaria dei poteri dello Stato è una finzione e in che modo le fun­zioni vengono evidenziate e assunte da quest’ultimo.

 

Ma anche nel caso dello Stato, la figura più tradizionale, non si può parlare di unità. Non è lo Stato ma i suoi organi che stipulano contratti. Non si impugna davanti al giudice un atto dello Stato, ma queUo di un ministero. Non è lo Stato che acquista, amministra, vende, ma il Provveditorato gene­rale e la Direzione generale del demanio, apparati, rispettivamente, del mini­stero del Tesoro e di quello delle Finanze. “Il rapporto di lavoro non ha per parte lo Stato, ma un organo statale con Iegittimazione propria”. Insomma, “lo Stato non si presenta mai come persona giuridica unitaria, bensì nei suoi diversi organi. Questa costituisce un’assoluta singolarità dello Stato: i rappor­ti di diritto amministrativo e quelli di diritto privato intercorrono tra organi e altri soggetti; la responsabilità civile, nelle varie sue specie, grava sugli or­gani che hanno posto in essere i fatti, illeciti o rischiosi, che ne costituiscono fonte; nei rapporti processuali stanno in giudizio, attivamente o passivamen­te, sempre gli organi e non lo Stato (sia pure in modi diversi a seconda dei giudizi). È da aggiungere che il bilancio dello Stato contempla allocazioni ad organi, sì che questi hanno disponibilità patrimoniali proprie, e anche asse­gnazioni di beni non consumabili. Nella teoria degli organi, gli organi dello Stato occupano una posizione del tutto propria, non reperibile presso nes­sun altro ente”.

È, poi, probabile che la ricostruzione che si critica non abbia mai corri­sposto al diritto positivo, ma sia stata il frutto di una preoccupazione di ordine ideologico e culturale, motivata da due esigenze.

La prima esigenza era quella di rendere impersonale il potere sovrano, svincolando lo Stato dalla figura del monarca e soggiogando il monarca stes­so allo Stato (e al diritto), là dove, precedentemente, il monarca era sovrano sullo Stato e sul diritto. Dunque, la prima esigenza era quella di consentire il passaggio dallo Stato assoluto allo Stato di diritto.

Ma si noti che un certo dualismo monarca-Stato è stato presente fino ad epoca recente: ad esempio, ancora negli anni 30, in Italia, la politica estera faceva capo, oltre che al governo, al re.

L’esigenza di riportare ad unità i poteri dello Stato, al vertice, era, co­munque, un’esigenza propria del diritto costituzionale, ipostatizzata e traspo­sta in un campo che non era suo proprio, o dove non era tanto sentita, come il diritto amministrativo.

In secondo luogo, l’entificazione dello Stato (e la teoria dell’organo) “si fondava su una precisa esigenza politica, di trovare nello Stato l’ente espo­nenziale della Nazione, per eccellenza, contro i particolarismi locali e i parti­colarismi delle classi subalterne”.

Dunque, la entificazione dello Stato è servita a mantenere l’unità al vertice e alla base degli organismi politico amministrativi. Ma aggiungiamo solo nei Paesi (Francia, Germania, Italia) dove la tradizione dello Stato si èaffermata. In quelle che sono state chiamate “stateless societies” (società sen­za Stato), lo stesso ruolo unificante e di depersonalizzazione del potere pub

buco è stato svolto in altro modo, e spesso non da istituti giuridici (questo il motivo per il quale lì lo Stato è, come concetto, una variabile).

Si tratta come si vede di due esigenze superate. La prima perché non vi è più un potere superiore, ma anzi la sovranità è rimessa al popolo (art. i Cost.). La seconda perché gli ordinamenti a sovranità popola­re hanno ormai ammesso una molteplicità di centri di potere, fuori e dentro I area pubblica, accettando e persino codificando il principio del cosiddetto pluralismo (basti pensare agli artt. 5, 39, 49 e ii4 della Costituzione).

Dunque, da una parte l’impersonalità del potere non è assicurata dalla riferibilità dell’amministrazione allo Stato, bensì dalla prescrizione costituzio­nale (art. 98), per la quale “i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”. Non v’è bisogno di supporre l’esistenza di una persona giu­ridica fittizia per spogliare gli esecutori della sua volontà di ogni interesse personale, perché basta che i titolari degli uffici siano posti al servizio del popolo sovrano (vedremo poi, parlando del personale, i modi e le tecniche chiamati ad assicurare la neutralità dell’amministrazione).

Dall’altra, alla lotta dello Stato monoclasse contro i particolarismi (pre­statali e antistatali) si è sostituita l’accettazione, da parte dello Stato pluri­classe, del pluralismo degli interessi persino nell’area pubblica, nella quale possono esistere interessi confliggenti, anzi istituzionalmente confiiggenti: si pensi a quello dello sviluppo economico e industriale e a quello della tutela dell’ambienite, ora ambedue giuridicamente riconosciuti da norme, che sono frequentemente in contrasto tra di loro.

Ci si chiede, dunque, “se veramente lo Stato sia un ente o invece un aggregato di figure giuridiche soggettive, anche, oltretutto, diversamente mo­dellate” e si propone l’abbandono dello stesso termine Stato, perché dotato di tasti significati come si è detto, già nel 1931 ne sono Stati contati 145 diversi da essere inutilizzabile. E cosi viene a mancare la base stessa sulla quale la teoria dell’organo è stata sviluppata.

Sono in tal modo poste le premesse per una teoria dell’organizzazio­ne che non sia dipendente o strumentale rispetto allo Stato e alla persona giuridica pubblica. Così l’organizzazione amministrativa verrà in primo piano e in piena luce.

 

Abbandonate le teorie, occorre ora volgersi all’esame del diritto positivo, capovolgendo l’impostazione che derivava l’organo dallo Stato e partendo per così dire dal basso.

Prendiamo, ad esempio, due organismi pubblici costituiti negli anni ‘50, e vediamone la geiiesi. Dopo un lunghissimo dibattito, relativo alla “questio­ne meridionale”, si giunse alla conclusione, alla metà del secolo, che per ri­solvere tale questione fossero necessari investimenti statali straordinari nel campo delle opere pubbliche e dell’agricoltura. Tali investimenti si diceva

        debbono essere aggiuntivi a quelli degli uffici già esistenti (ministero dei Lavori pubblici e ministero dell’Agricoltura e foreste). Venne istituito, quin­di, nel 1950 un apparato amministrativo “ad hoc”, chiamato Cassa per opere straordinarie di interesse pubblico nell’Italia meridionale (più brevemente, Cassa per il Mezzogiorno), dotato di personalità giuridica e mezzi finanziari.

Altro esempio è il seguente. Nel 1951 fu redatta, a cura di una commis­sione ministeriale, una relazione sulle partecipazioni azionarie pubbliche. Questa commissione mise in luce non solo che esse erano numerose, ma che erano anche disperse tra vari ministeri ed enti, ognuno dei quali si orienta-va, nel gestirle, in modo diverso. La commissione terminava la relazione con la proposta di unificare la funzione di gestione, inquadrando tutte le parteci­pazioni in un apposito ministero “senza portafoglio”. Si discusse della pro­posta e il governo propose al Parlamento un disegno di legge che istituiva il ministero delle Partecipazioni statali. Nel Parlamento si opposero due diversi punti di vista. Secondo il primo, che risultò poi prevalente, occorreva so­stanzialmente unificare compiti, per l’innanzi distribuiti tra più uffici, che venissero esercitati in modo uniforme o almeno coerente, e che vi fosse un solo responsabile ministeriale della condotta delle società con partecipazione pubblica dinanzi al Parlamento. Secondo l’altro punto di vista, l’istituendo ministero doveva avere poteri nuovi, in modo da diventare il centro della pianificazione delle imprese pubbliche.

Che cosa ricorre sempre in questi casi? Che una funzione si evidenzia. Che essa viene obiettivata e cristallizzata, per così dire, in un ufficio che si caratterizza per lo svolgimento di quella funzione.

Ricorrono, dunque, tre elementi. In primo luogo viene individuata e or­dinata una funzione, nei termini che si sono prima indicati (una materia o oggetto, uno o più compiti, uno o più fini pubblici ed eventualmente i desti­natari dei compiti). A questo aspetto ci si riferisce di solito quando si afferma che ogni ufficio pubblico cura un interesse pubblico. Solo che si tratta di qualcosa di più del solo interesse, come si è detto. In secondo luo­go, questa funzione viene affidata a un’articolazione organizzativa, o ufficio. In terzo luogo, l’ufficio è dotato di poteri.

 

 

66

I soggetti

 

5.’

Soggetti giuridici, persone fisiche e persone giuridiche

 

Così come gli altri due elementi degli ordinamenti giuridici (le norme e l’organizzazione) anche l’acquisto e la perdita della qualità di sog­getto di un ordinamento sono disciplinati da norme. Tuttavia, men­tre nel caso della produzione di norme e della disciplina dell’organiz­zazione, le fonti normative sono contenute nella Costituzione, l’acqui­sto e la perdita della qualità di soggetto sono regolati dalle leggi ordinarie.

I soggetti del diritto si distinguono in persone fisiche e in enti­tà immateriali o gruppi organizzati. ~ soggetto di diritto una per­sona fisica, ma sono soggetti di diritto un partito politico, un sindacato, un’associazione che si presentano come un gruppo organiz­zato o entità immateriale. Va ancora aggiunto che, mentre le per­sone fisiche sono sempre soggetti di diritto privato, le entità imma­teriali possono essere soggetti e persone giuridiche; queste ultime sono centri di attività e di imputazione più completa. Sono, inol­tre, soggetti di diritto privato (ad esempio, l’associazione “Italia Nostra”) o di diritto pubblico (ad esempio, un~un1vers1ta). Quanto all’ampiezza dei poteri esercitabili dalle entità immateriali, essa va­ria da ente a ente ed è disciplinata dalle leggi istitutive e dagli statuti.

Il criterio di appartenenza allo Stato delle persone fisiche è la cittadinanza; quello delle persone giuridiche è la nazionalità.

 

5.2

 

Cittadinanza e nazionalità

 

La cittadinanza comporta diritti e doveri. I diritti principali sono quelli civili (poter stipulare un contratto, ad esempio) e specialmente quelli