Il corpo elettorale
Le
elezioni politiche
Le elezioni politiche servono per la
costituzione di uno degli organi più importanti della Repubblica: il
Parlamento, composto di due organi in posizione di parità: la Camera dei
deputati e il Senato della Repubblica.
Le elezioni politiche hanno
la funzione di consentire la scelta di un corpo selezionato che eserciti la
funzione legislativa. Esse avvengono sulla base di modalità studiate per la
trasformazione dei voti del cittadino in seggi, indicate dai sistemi
elettorali.
Queste modalità possono
essere scritte nelle costituzioni o de-mandate alla legge ordinaria.
La Costituzione italiana
non prescrive precise regole elettorali. Essa stabilisce, agli artt. 56 e 58,
il principio generale che le due Camere sono elette a suffragio
universale diretto (in questo caso, suffragio significa voto).
Si ha suffragio
universale quando tutti i cittadini che hanno capacità
giuridica e una determinata età possono esercitare il diritto di voto (senza
limitazioni che derivano dal grado di cultura, dal sesso, dalla razza, dal
livello dei propri redditi e così via).
Si ha suffragio
diretto quando i cittadini che hanno diritto al voto
scelgono direttamente i componenti dell’organo da eleggere.
Si ha suffragio
indiretto, o elezione in doppio grado, quando i cittadini
che hanno diritto al voto non scelgono direttamente l’organo, bensì coloro
(elettori secondari) che dovranno eleggerlo.
Sono, dunque, le leggi della
Repubblica, sulla base dei principi fissati dalla Costituzione, a determinare i
modi (individuazione del sistema elettorale) in cui questa scelta deve avvenire.
Essa si svolge seguendo un
procedimento complesso che inizia
con la individuazione del corpo
elettorale, costituito da tutti i cittadini aventi diritto al voto. I nomi
di questi cittadini sono pubblicati a cura di ciascun Comune in appositi
elenchi.
Il
sistema italiano non richiede per le elezioni politiche alcuna soglia minima
di partecipazione alle votazioni per la loro validità, al contrario di quanto
accade per il referendum, che non è valido se non vi partecipa il 50,1%
degli aventi diritto.
L’età
necessaria per partecipare al voto è stata più volte abbassata in questo
secolo. Ancora nel i 912 bisognava avere, di regola, 30 anni. Dal 1946 al 1975, per
votare alla Camera dei deputati bisognava avere 21 anni e 25 per votare
al Senato. Oggi per la Camera basta aver compiuto 1 8 anni.
13.2
I sistemi elettorali
I sistemi elettorali
possono essere congegnati in due modi.
Possono
tenere conto solo delle aspirazioni della maggioranza degli elettori (sistemi
maggioritari). Possono tenere conto anche delle aspirazioni delle minoranze
(sistemi proporzionali).
Nel
sistema maggioritario tutti i seggi disponibili
(ogni seggio equivale ad un membro del Parlamento) vanno al partito o ai
partiti che hanno raggiunto una certa percentuale di voti o, semplicemente, il
maggior numero di voti (maggioranza relativa).
Nel
sistema proporzionale anche ai partiti di minoranza è
riservato un certo numero di seggi. Nel sistema proporzionale puro un partito
usufruisce dei seggi che ha conquistato nel corso della competizione
elettorale, senza che sia necessario superare una soglia minima di voti. Infatti,
il sistema proporzionale puro è fondato sul
principio della corrispondenza
tra voti e seggi (questo sistema è
stato seguito in Italia dal
1946 al 1993).
Spesso,
tuttavia, pur restando nell’ambito del sistema proporzionale, la legge può
richiedere che i partiti di minoranza, per essere presenti in Parlamento,
raggiungano una soglia minima di consensi. Questa soglia può variare da piccole
ad alte percentuali (30/o, 40/O
fino al 200/O, 250/O dei voti validamente
espressi). In questo caso, si ha un sistema proporzionale corretto. Nell’ambito
di questo, va menzionato il sistema proporzionale con premio di maggioranza.
In questo, il partito che ha raggiunto una certa percentuale di consensi fissata
dalla legge fa scattare un premio di maggioranza che gli consente
di godere di un numero di seggi superiore a quello ottenuto con le votazioni.
In tal modo, il sistema proporzionale si trasforma in maggioritario.
Il
sistema maggioritario consente di avere in Parlamento uno schieramento
politico omogeneo e, quindi, un più facile esercizio della funzione
legislativa e una maggiore stabilità dei governi.
Con
il sistema proporzionale la coalizione tra i partiti è più diflicile, ma la
rappresentanza delle forze politiche più ampia.
Altra
importante distinzione è quella tra collegi uninominali e collegi
plurinominali.
Il
collegio uninominale è quello in cui si può eleggere un
solo candidato, in quanto vi è un solo posto in palio. Il collegio uninominale è
adottato nei sistemi maggioritari nei quali è un solo candidato a vincere e a
godere di tutti i voti espressi nel collegio. Questa è la regola sintetizzata
dalla formula: “il vincitore prende tutto”.
Il
collegio uninominale può essere a turno
unico o a doppio turno (o ballottaggio).
Con
il turno unico si vota una volta sola e vince colui che ottiene il maggior
numero di voti (maggioranza relativa), anche un solo voto in più degli altri concorrenti,
a meno che non sia previsto il raggiungimento di una certa percentuale.
Con
il ballottaggio, partecipano al secondo turno i due candidati che hanno avuto
il maggior numero dei voti ed è necessario, per vincere, raggiungere una
maggioranza determinata, di solito il 50,1% dei voti. Lo scopo del ballottaggio
è, appunto, quello di far convergere su un solo candidato o su un solo partito
una consistente maggioranza di consensi.
Nel
collegio plurinominale, utilizzabile sia dai sistemi
maggioritari che da quelli proporzionali, si possono eleggere diversi
candidati. Di solito i candidati non si presentano isolati, ma collegati ad una
lista provvista di un contrassegno (contrassegno di lista) che consente anche
agli analfabeti di riconoscere la lista e di votare.
13.3
Il sistema elettorale italiano
1861-82. Si segue un sistema maggioritario a doppio turno in
collegi uninominali. Vota circa il 2% della popolazione.
1882-91.
Si segue un sistema maggioritario a
doppio turno in collegi plurinominali. Vota circa il 7% della popolazione
1891-1919.
Si segue un sistema maggioritario a
doppio turno in collegi uninominali.
Nel
1912 viene introdotto il suffragio universale maschile.
1919-1923.
Si segue un sistema proporzionale a
liste concorrenti in collegi plurinominali.
1923-45.
Nel 1923 viene approvata la legge
Acerbo che attribuisce i 2/3 dei seggi alla lista che ottiene il 25% dei voti (premio di
maggioranza). Dopo il 1924 non si
hanno più elezioni.
Nel
1939 si sopprime la Camera dei deputati, elettiva, e si costituisce la
Camera dei fasci e delle corporazioni, i cui componenti non sono più eletti ma
scelti tra i titolari di cariche all’interno del partito fascista e delle
corporazioni.
1946-1993.
Si estende il suffragio universale alle donne. Si
vota seguendo un sistema proporzionale a liste concorrenti. Questo sistema è
stato considerato, per oltre quarant’anni, un pilastro fondamentale dello
Stato democratico.
Il
sistema è stato ridisegnato nel 1993.
In quell’anno, tramite referendum,
furono abrogate (con l’82%dei consensi), alcune norme della legge elettorale che
avevano impedito, per il passato, che il Senato fosse eletto con il sistema
maggioritario.
L’abrogazione
tuttavia creava, da un lato, una diversità, da molti ritenuta inaccettabile,
tra sistema seguito per la scelta dei senatori e sistema adottato per la
selezione dei deputati. Dall’altro si osservava che la risposta dell’elettorato
al referendum andava interpretata nel senso che si dovesse modificare l’intero
sistema elettorale (e, quindi, anche quello seguito per le elezioni alla Camera dei
deputati).
In
realtà, non si rinviene un principio generale che imponga che i sistemi
elettorali per la formazione dei due rami del Parlamento debbano essere
improntati agli stessi principi. Basti pensare all’Inghilterra dove la Camera
dei comuni è elettiva e quella dei Lord è, in gran parte, ereditaria.
vero,
però, che in Italia esiste la regola del bicameralismo perfetto e che la
diversità nei sistemi di selezione dei membri delle due Camere avrebbe potuto
essere intesa come una insostenibile deviazione a tale regola.
La
difformità di cui si è detto indusse il Parlamento a delegare al governo il
compito di modificare i sistemi elettorali delle due Camere.
11
sistema messo a punto con il decreto legislativo 20 dicembre
1993, n. 533 e 20 dicembre 1993,
n. 534 (che disciplina
l’elezione del Senato e della Camera dei deputati), è un sistema misto
con connotazione fortemente maggioritaria.
Esso serve per eleggere i 630 componenti
della Camera e i 315 componenti del Senato (artt. 56 e 57 della
Costituzione).
13.4
Il sistema elettorale per la Camera
La procedura adottata è la
seguente. Si divide il territorio in circoscrizioni elettorali (sono 27), sulla
base della popolazione residente, secondo l’ultimo censimento. Le
circoscrizioni elettorali corrispondono in gran parte alle regioni, con
l’eccezione delle regioni più grandi, suddivise in due (ad esempio, Piemonte,
Veneto, Lazio, Campania, Sicilia) o in tre (Lombardia). Ad ogni circoscrizione
elettorale è assegnato un determinato numero di candidati (deputati) da
eleggere, ti-partiti in collegi.
Alla
Valle d’Aosta spetta un solo deputato.
La
popolazione di ciascun collegio, all’interno della circoscrizione, non può scostarsi
in misura maggiore del 10% rispetto alla media della popolazione dei collegi della
circoscrizione. Infatti, poiché in base alla Costituzione il voto è uguale,
bisogna fare in modo che il voto espresso all’interno di ogni circoscrizione
sia espressione di un numero uguale di aventi diritto al voto.
Per
la Camera, il collegio non supera i
120.000 abitanti, con un corpo
elettorale di circa 8o.ooo elettori per collegio.
Il
75% dei componenti è eletto in base ad un sistema maggioritario in collegi uninominali. Il residuo
25% è eletto con un sistema proporzionale corretto, nel senso
che un partito, per essere rappresentato in Parlamento con il sistema
proporzionale, deve aver ottenuto almeno il 40/O
dei voti espressi dal corpo elettorale.
il
sistema maggioritario funziona così. In ogni collegio uninominale può essere
eletto un solo candidato, quello che ha ottenuto il maggior numero di voti (anche
uno solo in più).
Si
noti che, benché con il sistema uninominale si voti la persona e non la
lista, il candidato deve risultare collegato ad una o più liste (non più di
cinque), presentate per il riparto dei seggi con il sistema proporzionale.
Il
collegamento con le liste serve a fornire un profilo dell’orientamento politico
del candidato che si presenta nel collego uninominale per essere votato.
Nei
collegi uninominali non sono ammesse candidature “isolate”, non collegate,
cioè, ad alcuna lista. Non è possibile, alla
stessa persona, candidarsi in più di un
collegio uninominale. E’ però,
consentito candidarsi, oltre che nel collegio uninominale, anche per la parte
proporzionale. Inoltre, è ammessa la presentazione di liste con il sistema
proporzionale che non sono collegate a candidati nei collegi uninominali.
Le
operazioni di voto. L’elettore dispone di due schede cui corrispondono
due voti.
Con
la prima scheda l’elettore vota per uno dei candidati che si presentano nel
collegio uninominale (i collegi sono. 475, pari al 75% dei seggi) dove
l’elettore è residente. Risulta eletto il candidato che ha ottenuto più voti.
Con
la seconda scheda l’elettore vota per una lista, per attribuire il residuo 250/0 dei seggi
con il sistema proporzionale.
Il
riparto dei seggi con il sistema proporzionale avverrà tra le sole liste che
hanno ottenuto almeno il 4% dei voti validi espressi sull’intero territorio
nazionale.
Ogni
lista proporzionale è formata alternativamente di uomini e donne.
Ogni lista indica il nome dei propri candidati che non possono essere più di
quattro.
L’elettore
può votare solo per un contrassegno, senza esprimere un voto di preferenza; i seggi, se la
lista li ottiene, saranno distribuiti secondo l’ordine in cui i nomi compaiono
sulla scheda (votazione a lista bloccata).
Li
sistema della doppia scheda consente un’ampia libertà all’elettore. Questi può
votare, con la prima, una persona di sua fiducia, collegata ad una certa lista
e, con la seconda, può dare il voto alla lista che gli è più affine, anche se è
diversa da quella che sostiene il candidato votato con il sistema uninominale.
Lo
spoglio. Per i candidati da eleggere con il sistema
uninominale, le operazioni di spoglio sono molto semplici. Risulta eletto
colui che ha ottenuto, nel collegio, il numero più alto di voti. In caso di
parità risulta eletto il candidato più anziano.
Per
i candidati da eleggere con il sistema proporzionale, si individuano, in primo luogo, le liste che hanno
ottenuto almeno il 4% dei voti validamente espressi sui territorio
nazionale.
Tuttavia,
i voti riportati dalle liste che hanno superato lo sbarramento del 4% non
vengono considerati integralmente.
Al
contrario di quanto si vedrà per il Senato, per la Camera è stato introdotto il
sistema dello scorporo.
Lo
scorporo (o sottrazione) è un meccanismo finalizzato ad
accrescere le possibilità di conquista di seggi da parte delle liste che non ne
hanno ottenuti con il sistema uninominale.
Per
fare ciò si scorpora (si sottrae), da ciascuna delle liste collegate a
candidati che sono risultati eletti con il sistema uninominale, una parte dei
voti ottenuti nella circoscrizione dagli eletti, collegati alle liste stesse.
La
sottrazione riguarda non il totale dei voti ottenuto dal candidato
vincente, ma il numero necessario per raggiungere la vittoria, che corrisponde
al numero di voti ottenuto dal candidato arrivato secondo maggiorato di un
voto.
In tal modo, per
l’attribuzione dei seggi con il sistema proporzionale è necessario valutare i
voti ottenuti dalla lista, cui sono stati sottratti quelli che hanno consentito all’eletto
con il sistema uninominale, e collegato a quella lista, di guadagnare il
seggio.
13.5
Il sistema elettorale per il Senato
Il Senato è eletto su base regionale. I seggi
sono ripartiti tra le regioni sulla base dei risultati dell’ultimo censimento.
Il territorio di ciascuna
regione è ripartito in collegi uninominali, pari al 75% dei seggi
assegnati. La Valle d’Aosta è costituita in unico collegio uninominale. Il
Molise è ripartito in due collegi uninominali.
Il 750/o dei seggi è
ripartito tra i candidati che si sono presentati con il sistema uninominale.
Ogni candidato è collegato ad un partito politico: è eletto il candidato più
votato in ciascun collegio.
Il restante 250/0 dei seggi è
ripartito tra i candidati non eletti con il sistema uninominale. I seggi sono
assegnati ai candidati proporzionalmente ai voti ottenuti dalle liste cui i candidati
sono collegati.
Al riparto proporzionale
possono partecipare solo gruppi di candidati. Per costituire un gruppo sono necessari almeno tre
candidati presenti, con lo stesso simbolo, in altrettanti collegi della
regione.
I candidati che si
presentano isolati, non collegati cioè ad almeno due candidati di altri
collegi, non partecipano al riparto proporzionale
I candidati non possono presentarsi in più di un
collegio né candidarsi contemporaneamente per la Camera e per il Senato.
Al contrario di quanto
avviene per la Camera dei deputati, il calcolo della percentuale dei voti
ottenuti, per l’assegnazione dei seggi con il sistema proporzionale, è fatto su
base regionale e non nazionale.
13.6
Elezioni suppletive
Qualora nel corso della legislatura, per
qualsiasi causa, risulti vacante un seggio, si procede ad elezioni
suppletive nel collegio interessato. Il candidato così eletto cessa dalla
carica con il termine della legislatura.
Con l’introduzione delle
elezioni suppletive, possono accedere in Parlamento esclusivamente membri
eletti. Al contrario, con il sistema vigente fino al 1993, nel
caso di seggi che risultavano vacanti in corso di legislatura, subentrava il
primo dei non eletti nella lista del partito in cui la vacanza si verificava.
13.7
L’esercizio del diritto
di voto
L’art. 48 della Costituzione fissa cinque principi che riguardano i
modi di esercizio e i caratteri del diritto di voto:
— l’universalità;
— la
personalità;
— l’uguaglianza;
— la libertà;
— la
segretezza.
L’universalità:
è il principio in base al quale tutti
i cittadini, che abbiano compiuto la maggiore età, hanno diritto al voto.
La
personalità: è il principio in base al quale l’esercizio del diritto di voto non
può essere delegato ad altre persone, ma va compiuto personalmente.
L’uguaglianza:
è il principio in base al quale tutti
i voti espressi hanno uguale valore (al contrario, in Inghilterra, fino a poco
tempo fa, vi erano persone che, per antico privilegio,
potevano votare due volte in due collegi
diversi; in tal modo, il loro voto
pesava il doppio di quello degli altri).
La
libertà e la segretezza: sono due principi separati ma
complementari tra loro, nel senso che il primo non può esistere senza il
secondo. La libertà del voto è, infatti, garantita dalla segretezza nel suo
esercizio.
Infine,
in base all’art. 48 della Costituzione, l’esercizio del voto è un dovere civico. Ciò
perché il cittadino partecipa, con il deposito della scheda elettorale
nell’urna, alla formazione di un organo pubblico . Va precisato, però,
che questa partecipazione può limitarsi a un voto di astensione (cosiddetta
scheda bianca). Una volta, il mancato adempimento del dovere (il fatto, cioè,
che il cittadino non si fosse recato a votare), senza giustificato motivo, era
sanzionato con l’iscrizione nei certificati di stato civile della frase “non ha
votato”, Oggi ogni sanzione è
stata abrogata anche per effetto dell’espansione del “partito dei non votanti”.
Questa ha messo in evidenza che il non-voto non va considerato
semplice assenteismo ma scelta politica.
Lettura. Dalle Memorie
di Giovanni Giolitti:
perché fu introdotto il suffragio universale
Elezioni e sistemi elettorali possono apparire argomenti poco
interessanti. Per rendersi conto della
loro importanza, si legga il brano che segue,
tratto dalle Memorie di Giovanni Giolitti’. Giolitti che fu capo del
governo agli inizi del secolo, attuò — come s’è già notato —successivi allargamenti del
suffragio consentendo, così, a strati sociali sempre più ampi di partecipare
alle elezioni e, quindi, alla vita politica. In questo brano egli spiega i
motivi dell’introduzione del suffragio universale.
Quando io misi nel mio
programma, come punto fondamentale, la riforma elettorale, con un allargamento del suffragio
universale, vi fu chi mi ricordò con rimprovero che io altre volte mi ero dichiarato
contrario a tale estensione del diritto politico fondamentale. E la cosa era
vera per se stessa; ma era viceversa assurdo richiamarsi a tali dichiarazioni
da me fatte in altri momenti come prova che io fossi stato avverso al suffragio
popolare per ragioni di principio. Tutta la
condotta politica da me seguita nel passato, intesa alla elevazione
delle classi popolati, ed all’allargamento della influenza dei loro interessi
nella vita pubblica, smentiva nettamente
quell’accusa. La verità era che, proponendomi come programma capitale della mia
azione politica l’elevazione delle classi popolari, io avevo dovuto
anzitutto considerare le loro condizioni materiali, e restituendo loro quel
pieno esercizio delle libertà statutarie,
che era stato posto in forse da quasi
dieci anni di politica reazionaria,
rimetterle nelle condizioni necessarie per lottare pel proprio miglioramento
economico. Questo mio primo concetto era stato pienamente giustificato dall’esperienza, e per dieci anni di regime di libertà nei conflitti fra capitale
e• lavoro, rispettato da tutti i governi che si erano succeduti, aveva da per
tutto accresciuta, e in molte parti d’Italia più che raddoppiata la misura dei
salari degli operai delle officine e dei campi, contribuendo anche potentemente
alla loro educazione. Le associazioni di ogni genere, economiche e politiche,
che si erano formate dovunque fra le masse lavoratrici; il maggiore
interessamento che esse erano andate prendendo nella vita della nazione,
avevano indubbiamente avuto una grande influenza educativa, dando ad esse una
consapevolezza della vita politica, fino allora quasi totalmente ignorata. Di
fronte a tali mutate condizioni non era più ammissibile che in uno Stato sorto
dalla rivoluzione e costituito dai plebisciti, dopo cinquant’anni dalla sua
formazione si continuasse ad escludere dalla vita politica la classe più
numerosa della società, la quale dava i suoi figli per la difesa del Paese, e
sotto la forma delle imposte indirette concorreva in misura larghissima a
sostenere le spese dello Stato.
La
questione della elevazione del
quarto Stato alla dignità della
totale cittadinanza politica, nella quale
ai diritti corrispondono i doveri, era pure imposta, oltre che da superiori
considerazioni di giustizia, da altre ragioni di convenienza
nell’interesse stesso delle classi dirigenti. La devazione del quarto Stato
ad un più alto grado di civiltà era per
noi ormai il problema più urgente, e per
molti punti di vista. Anzitutto, per la stessa sicurezza sociale, in quanto che l’esclusione
delle masse dei lavoratori, non solo dalla vita
politica, ma anche da quella amministrativa
del Paese, togliendo loro ogni influenza legale,
ha sempre per effetto di espone alle
suggestioni dei partiti rivoluzionari e delle idee sovvertitrici, in
quanto gli apostoli di queste idee hanno a loro disposizione un argomento
formidabile, quando osservano che, per ragione di codesta esclusione, alle
classi popolari non resta altra difesa, contro le possibili ingiustizie, generali e particolari,
delle classi dominanti, che l’uso della
violenza. Dove le masse sanno di non potere col loro voto e con la legale azione politica modificare le leggi che siano proposte
ed elaborate a loro danno, è ovvio che esse si lascino persuadere che i soli
mezzi per mutare un tale stato di cose sono i mezzi rivoluzionari. Partecipando
invece alla vita politica, le masse, nelle quali il buon senso finisce
sempre alla lunga col prevalere, possono, non solo rendersi conto delle
difficoltà che lo Stato deve superare per aiutare il loro incremento, ma anche
dei limiti che le condizioni generali del Paese e del tempo pongono alla
soddisfazione delle loro aspirazioni e delle loro richieste; e così esse
vengono ad essere interessate al mantenimento dello Stato.