IL DIRITTO COMMERCIALE

NELL'ATTUALE SISTEMA GIURIDICO

 

-          Secondo l'opinione più diffusa i diritti dell'antichità non avevano un corpo di norme che disciplinasse appositamente l'attività commerciale, la quale dunque era sottoposta,al diritto privato comune, anche se per alcuni  rapporti specifici  del commercio vi era un regolamento particolare. Questa opinione sembra sostanzialmente esatta per il diritto romano [1], che è quello che a noi interessa perché il diritto attuale si ricollega al diritto romano, sia pure con le modificazioni che vi apportò l'assorbimento di elementi del diritto germanico e del diritto canonico. Infatti a Roma i rapporti mercantili ‑erano regolati dal diritto civile (jus privatorum), il quale non aveva un contenuto rigido,perché il pretore, per i larghi poteri di cui era investito, lo elaborava e lo adattava continuamente alle esigenze della vita, ispirandosi ai principi dell'equità.

-            Un tale sistema provvedeva in modo adeguato ai bisogni del commercio .

-           Senonché con la caduta dell'impero romano la figura del pretore scomparve, e quindi v'enne meno l'organo che sino ad allora aveva assicurato l'evoluzione del diritto.

-            I barbari d'altro canto introdussero in Italia ordinamenti primitivi, che quanto meno in un primo tempo compressero il diritto romano, creando un ordine incerto dei rapporti. A ciò si aggiunga l'influenza sempre maggiore della Chiesa,la quale. proibendo rigorosamente la stipulazione degli interessi per i mutui ‑ in base al principio che il capitale è improduttivo e che non deve ammettersi guadagno senza lavoro ‑ veniva ad intralciare l'attività commerciale, che dal credito trae il suo principale alimento.

 

Quando, assestate le condizioni di vita, Si ripresero gli  scambi, i mercanti  per meglio tutelare i loro interessi si riunirono in corporazioni dette Arti

Ora le corporazioni avevano un potere disciplinare, sugli iscritti  nelle matricole, ed in connessione al medesimo avevano altresì il potere di decidere le controversie che fossero sorte fra di essi nell'ambito dell'attività mercantile, nonché fra gli iscritti ed i loro commessi, apprendisti ed operai. La giurisdizione era esercitata dai consoli, che erano commercianti eletti dagli  iscritti nel loro seno.il procedimento  si svolgeva in modo sommario ed alla buona.

I consoli decidevano in base agli usi ed ai principi dell'equità (ex bono et aequo). Le regole applicate in una vertenza erano utilizzate nelle vertenze successive, e venivano all'uopo raccolte negli statuti delle corporazioni. I commercianti vennero così a sottrarsi sia alle lungaggini della procedura ordinaria, macchinosa ed infida, sia al diritto comune , non rispondente alle esigenze della fiorente attività mercantile,foggiando un regolamento apposito per i loro rapporti di affari.

Questo regolamento costituisce il nucleo originario del diritto commerciale. La società in nome collettivo, la società in accomandita, la cambiale e tanti altri istituti trovarono in quelle norme la loro prima disciplina .

 

Il diritto commerciale deve dunque la sua nascita alla giurisdizione delle corporazioni, ed era in funzione di questa giurisdizione, per cui non si applicava a coloro che non erano iscritti nella matricola delle corporazioni e che pertanto non erano soggetti alla potestà dei consoli

. Esso era quindi all'origine tipicamente un diritto di classe, un diritto di categoria.

 

Nel corso del tempo la sua sfera di applicazione si allargò.

I mercanti rappresentavano il ceto più cospicuo delle città e le corporazioni di arti e mestieri avevano una posizione politica eminente, perché costituivano gli ordinamenti cittadini. In queste condizioni è naturale che le corporazioni cercassero di ampliare la loro azione.

Si affermò così il principio che dovessero sottoporsi alle decisioni dei consoli anche le controversie mercantili, nelle quali uno solo dei litiganti fosse iscritto alle corporazioni.

 Non solo chi aveva una vertenza con un mercante doveva sottoporla alla decisione del tribunale delle corporazioni, ma lo stesso mercante poteva convenire dinanzi a questo tribunale il non iscritto per gli affari che avesse con esso conclusi.

Ai commercianti venne dunque riconosciuto il privilegio del foro consolare, perché essi per i loro affari potevano essere giudicati solo dai tribunali mercantili; il che significava in definitiva la sottoposizione dei loro affari al diritto commerciale, che quel tribunale applicava. S'intende che tale evoluzione rafforzò nel diritto commerciale il carattere di diritto di classe. Un passo ulteriore fu fatto in seguito, con l'ammettere che coloro che esercitavano il commercio, senza essere iscritti nelle, matricole delle corporazioni, dovessero per gli atti compiuti considerarsi commercianti e quindi essere sottoposti alla giurisdizione delle corporazioni.

 

Il passaggio della giurisdizione mercantile ai tribunali dello Stato trovò questa situazione già consolidata e la mantenne.

 Invece un cambiamento si ebbe con la rivoluzione francese, che soppresse le vecchie corporazioni ed i loro privilegi. L'art. del, codice commercio Napoleone del 1808, tuttora vigente in Francia, sottopose infatti alla competenza dei tribunali di commercio tutte le controversie relative ad obbligazioni tra negozianti, commercianti e banchieri, quelle tra i soci relative ad una società commerciale, ed infine le controversie relative agli atti di commercio, qualunque fossero le persone tra le qualì intercorressero: atti che vennero raggruppati in 14 categorie.

L'innovazione consisteva nel fatto che si sottoponevano alla giurisdizione commerciale quindi alla legge commerciale anche certe operazioni compiute da non commercianti, cioè atti di commercio isolati ed occasionali .

Dununque in definitiva il commercio in sé e per sé, obiettivamente considerato.

Nell'economia del sistema questo principio acquistava logicamente carattere preminente, potendo riassumere sotto di sé gli altri atti commerciali.

 Sembra infatti evidente che, se si sottoponevano alla giurisdizione commerciale anche le controversie relative ad obbligazioni tra negozianti, commercianti e banchieri e tra i soci di società commerciali, ciò avvenisse non in omaggio alle persone dei commercianti, bensì per la naturale presunzione che tali obbligazioni riguardassero il commercio, e che quindi la sottoposizione non valesse per le obbligazioni estranee all' attività commerciale degli stessi soggetti .

 Il diritto commerciale aveva cessato così di essere il diritto dei commercianti, ed era divenuto il diritto degli atti di commercio, da chiunque compiuti, assumendo impronta oggettiva.

 

Questo sistema ebbe larga diffusione perché il codice francese, importato nei vari paesi conquistati dagli eserciti napoleonici, Fu 1 preso a modello dalle legislazioni che vennero promulgate negli stessi paesi quando  si ricostituì l’indipendemnza statale.

Così per quanto riguarda il nostro paese  al Codice Napoleone s’ispirarono  il codicen di commercio del Regno di Sardegna del 1842 e quello del Regno d’Italia del 1865.

Anche il codice di commercio italiano ‑del 1882 aveva carattere obiettivo.

Gli artt. 3 e 6 elencavano una serie di atti (ventisei), che erano dichiarati commerciali indipendentemente dalle persone che li ponevano in essere._ Si trattava o di singoli atti economici (la compera p er rìvendere"_1a successiva rivendita, il riporto, le operazioni di banca ecc.) oppure di determinate imprese (imprese di somministrazioni, imprese di fabbriche o di costruzioni, imprese di manifattura ecc.). L'articolo 4 vi aggiungeva in forma generale gli atti compiuti dal commerciante, a meno che risultasse che non si riferivano al commercio (detti questi ultimi atti soggettivi di commercio in contrapposto ai primi, chiamati atti oggettivi di ‑ com mercio). Bastava che la commercialità esistesse per un uno dei soggetti partecipanti all'atto, perché questo fosse sottoposto alla legge commerciale. Dunque nel conflitto fra legge civile e legge commerciale, quest'ultima aveva la prevalenza.

 

Queste norme che qualificano una serie di atti od operazioni come atti commerciali venivano chiamate norme delimitative o qualificative della materia di commercio, in contrapposto alle norme regolatrici della medesima.

 

. Il diritto commerciale nel sistema abrogato. ‑ L'essenza del diritto commerciale  si coglieva  in quei  rapporti  che

si trovavano pure regolati dal diritto civile .

A rapporti rientranti nella máteria di commercio infatti per una gran parte erano identici a quelli regolati dal diritto civile. Così si aveva una compravendita commerciale ed una compravendita civile, una locazione commerciale ed una locazione civile, un mutuo commerciale ed un mutuo civile, e più generalmente obbligazioni commerciali ed obbligazioni civili. è chiaro che in questi casi gli elementi economico‑sociali sottoposti alla valutazione normativa nei due campi erano identici. Se dunque il regali mento era verso, ciò non poteva dipendere che da una diversa valutazione  che degli stessi elementi aveva fatto il legislatore, ‑là‑ quale a sua volta­evidentemente erà 'dovuta al solo scopo di soddisfare diverse esigenze .

In effetti il regolamento del diritto civile appariva caratterizzato dallo scopo di conservare le posizioni giuridiche esistenti, era dunque essenzialmente conservatore: quello del diritto commerciale, in contrapposto, era inteso ad agevolare gli scambi, a favorire la circolazione dei beni e quindi non solo facilitava la conclusione dei contratti, ma tutelava poi efficacemente il credito, che è alla base degli scambi.

 

L'antitesi si manifestava già a proposito della formazione del contratto. Non solo il codice commerciale regolava la stipulazione del contratto per corrispon enza (36 c. co.) (2), ignota al codice civilé,e, sopprimeva per alcuni contratti la necessità della forma scritta a pena di nullità (44 ult. cpv., C. co.), ma poi, integrando con apposite norme la volontà lacunosa manifestata dalle parti, rendeva possibile in certi casi il perfezionamento del contratto, ciò che secondo il diritto civile invece era escluso (60 c. co.).

 D'altro canto nel campo della prova il codice di commercio aveva soppresso la rigida esclusione della prova per testimoni vigente nel diritto civile ed aveva riconosciuto nuovi mezzi di prova (44 c. co.), per cui, agevolando la realizzazione giudiziaria dei diritti, veniva indirettamente ad agevolare la formazione giuridica dei rapporti, da cui i diritti medesimi derivano. La rivendica delle cose mobili rubate o smarrite, generalmente ammessa nel campo civile (708 c.c.), subiva un notevole temperamento quando l'acquisto era stato fatto in una fiera od in un mercato o all'occasione di una vendita pubblica o da un commerciante che facesse pubblico spaccio di simili oggetti, per il diritto al rimborso del prezzo riconosciuto al terzo (709 c.c.), mentre poi era affatto esclusa per i titoli al portatore nei confronti del terzo di buona fede (57 c. co.). Nel diritto civile la decorrenza degli Interessi sui debiti pecuniari era condizionata alla mora, nel diritto commerciale aveva luogo di diritto per i debiti liquidi ed esigibili (41 c. co.); d'altro canto il tasso degli interessi per i debiti commerciali era più elevato di quello disposto per i debiti civili. Il che comportava una maggiore tutela della posizione del ereditari. Le obbligazioni assunte da più soggetti nel campo civile si frazionavano, per cui ogni debitore era tenuto per la sua parte; invece nel diritto commerciale si presumeva la solidarietà dei condebitori (40 c. co.), per cui la legge non guardava all'interesse di chi doveva dare, bensì a quello di chi doveva rícevere.

 

Prima di pronunziare la risoluzione di un contratto bilaterale natura civile *per inadempienza, se il contratto era           di natura civile, il,_giudice poteva concedere una dilazione al debitore per consentirgli l’adempimento tardivo; la concessione del termine di grazia era esclusa se il contratto era di natura commerciale. Per non tradire l’inrteresse dell’altro  co n traente (42 c có.). Nel caso di cessione di un credito' litigioso il diritto civile accordava al debitore il diritto di rimborsare al cessionario il solo prezzo da lui pagato per acquistare il credito con gli interessi e gli accessori, per cui in definitiva per favorire il debitore annullava praticamente l'utilità economica dell'avvenuta cessione (c.d. retratto litigioso, 1546 c.c.); il diritto commerciale invece negava tale facoltà al debitore (43 c. co.), assicurando stabilità alla convenzione.

Il termine Renerale di prescrizione in materia civile era di, trenta anni 213'5 'c'.c.), in materia commerciale invece era al

 

Di dieci (917), ed ancora più breve per singoli contratti. L'istituto del fallimento inteso alla tutela dei creditor4~, si applicava unicamente al commercianti. E così via. 1 principi medesimi venivano poi applicati e sviluppati negli istituti regolati dal codice di commercio che non trovavano corrispondenza nel codice civile.

 

Occorre un'altra osservazione. Il regolamento commerciale era in gran parte frammentario: la legge si limitava infatti a regolare singoli aspetti dei rapporti. Onde la necessità dell'integrazione della disciplina. Orbene l'art. 1 c. co. disponeva che la materia di commercio era regolata dalle leggi commerciali e dagli usi; quando mancavano le une e gli altri si applicava il diritto civile. S'intende però che nell'ambito dei rapporti commerciali diritto commerciale e diritto civile non si trovavano sullo stesso piano, ma su piani diversi: il diritto commerciale era la fonte regolatrice diretta, il diritto civile la fonte sussidiaria e subordinata. Questo portava alla conseguenza che le norme commerciali non si saldassero alle norme di diritto civile in un unico sistema, ma facessero sistema a sé, costituendo un ordinamento autonomo dei rapporti. Pertanto le norme commerciali, nell'ambito della materia di commercio, erano suscettibili di applicazione analogica, nella duplice forma dell'analogia legis e dell'analogia jutis, ed alla stessa doveva ricorrersi prima di applicare il diritto civile. 1 principi della tutela della circolazione dei beni e del credito costituivano i principi generali dell'ordinamento commerciale, e prevalevano sull'applicazione del diritto civile (3). Per esprimere questa particolare situazione la dottrina insegnava che il diritto commerciale era un diritto autonomo rìspetto al diritto civile, perché aveva una propria sfera di applicazione nella quale regolava i rapporti in base a criteri diversi da quelli a cui s'ispirava il diritto civile (4).

 

Accanto a questa autonomia sostanziale si aveva poi l'autonomia processuale dei diritto commerciale, perché le vertenze relative ai rapporti commerciali erano sottoposte a un procedimento speciale e devolute alla cognizione di tribunali distinti, che erano i tribunali di commercio. Con la legge 25 gennaio 1888, n. 5174, questi furono soppressi e le controversie commerciali vennero devolute alla competenza dei tribunali ordinari, ma rimasero sempre delle differenze nel procedimento.

 

 Critiche fatte al codice di commercio.

‑ Questa divisione del diritto privato appariva per molti aspetti arbitraria e dava luogo a complicazioni ed inconvenienti. Col fiorire degli studi giuridici non mancò di attirare delle critiche. Il movimento fu iniziato da CESARE VIVANTE con una brillante e dotta prolusione letta all'Università di Bologna nel 1892 (1). L'illustre Maestro osservava: a) che la delimitazione della materia di commercio era, artificiosa, perché molti atti erano considerati commerciali dalla legge per quanto nessun riferimento potessero avere in concreto col commercio in senso economico (così la cambiale, il deposito nei magazzini generali, gli affari attinenti alla navigazione ecc.); b) che la delimitazione stessa era incerta, per cui spesso era dubbio se un dato rapporto fosse soggetto alla 1 è‑ ggè civile o a quella commerciale; c) che il codice di commercio era un codice di classe a favore dei commercianti, mentre lasciava indifesi i non commercianti, esposti a insidie e soprusi; d) che il riconoscimento degli usi...mércantìli  come,fonte di diritto esponeva i non commércianti a norme da essi ignorate e che erano formate dai commercìanti stessi nel loro interesse.

 

         Dunque le critiche  del VIVANTE si appuntavano principalmente sul codice di commercio o meglio sul diritto commerciale[2], che considérava un residuo storico, e di esso chiedeva appunto ‑ la soppressione, sia pure attribuendo,un contenuto più moderno al codice civile,che doveva diventare la legge comune dei rapporti privati. Questo,secondo il Maestro, avrebbe giovato ad un tempo alla chiarezza e semplicità del regolamento ed alla severità degli studi.

 

                                                                                                                                                                                                       

 

 

1.4. Le correnti di pensiero precedenti la codificazione. ‑ A seguito della conversione del VIVANTE la questione della soppressione del codice di commercio sembrò superata (1). Le indagini degli studiosi si appuntarono invece sulla sfera di applicazione del diritto commerciale, dunque sulla delimitazione della materia di commercio, di cui si lamentava l'irrazionalità. Così il MOSSA (2) sostenne con calore che il commercio assume rilievo solo quando è organizzato ad impresa, che le imprese costituiscono centri economici dotati di propria individualità, con propria vita e proprie esigenze, che queste organizzazioni produttive richiedono un regolamento che non solo ne assicuri l'esercizio, ma al contempo vi ponga i necessari limiti a protezíone della comunità. L'ordinamento del codice di commercio con la sua fisonomia obiettiva aveva deformato questa palpitante realtà, che doveva essere tenuta presente dal nuovo legislatore per dare al diritto commerciale un'impronta professionale, farne cioè il diritto delle organizzazioni commerciali, il diritto delle imprese, in contrapposto al diritto civile che doveva limitarsi a regolare gli atti non organizzati ad impresa. Nello stesso ordine di idee il FINZI (3) osservò che il commercio nella sua essenza oggi è qualcosa di ben diverso dall'intermediazione individuale od occasionale nello scambio: è un fenomeno di organizzazione e di massa. L'elemento quantitativo oltre certi limiti assume valore qualitativo. Commercio non è soltanto lo scambio, bensì l'organizzazione per lo scambio. Non si ha vero commercio laddove manchi l'impresa o, rispettivamente, l'azienda.

 

L'ordinamento corporativo sembrava valorizzare queste correnti di pensiero. Le norme contenute nei contratti collettivi di lavoro e negli accordi economici collettivi si riferivano infatti alle imprese o meglio agli imprenditori, i quali erano divenuti i destinatari della nuova produzione normativa. L'interventismo statale nei fenomeni economici d'altro canto aveva reso continui i contatti fra la pubblica amministrazione e le imprese commerciali al punto da far dire che l'attività di queste si svolgeva sotto un'armatura pubblicistica (4).

 

 

 

1.5. La riforma attuata. –

Queste idee si rispecchiarono nel progetto del codice di commercio del 1940 preparato dal Comitato Ministeriale. Infatti, mentre i precedenti progetti, quello redatto nel 1922 dalla Commissione Ministeriale presieduta da CESARE VIVANTE e quello del 1925 redatto dalla Commissione Reale presieduta da MARIANo D'AMELIO, seguivano la falsariga del codice di commercio del 1882, facendo un'elencazione di atti di commercio analoga a quella degli artt. 3, 4 e 6 c. co. , il progetto suddetto si poneva sulla nuova via indicata dalla dottrina, dando al diritto commerciale prevalentemente l'impronta di diritto delle imprese commerciali. La delimitazione della materia di commercio (salvo alcune eccezioni) serviva a determinare quali imprese fossero mercantili e quindi soggette al codice di commercio (1). Il progetto[3] regolava il commerciante (sia persona fisica, che società), l'azienda con i suoi segni distintivi e la repressione della concorrenza sleale, i contratti propri delle imprese mercantili, i titoli di credito per la loro attinenza all'esercizio dell'impresa commerciale e le procedure concorsuali per l'impresa in stato di dissesto.

 

1.6. Come si è realizzata. ‑ Ma per valutare questo progetto del codice di commercio occorre tener conto del progetto del codice civile per la parte relativa alle obbligazioni.

 

Ora la disciplina generale delle obbligazioni era stata unificata, e l'unificazione si era realizzata non sulla base del diritto civile, sia pure ammodernandolo, come aveva proposto a suo tempo il VIVANTE, bensì sulla base della disciplina commerciale, che era stata estesa a tutti i rapporti privati, ed ulteriormente sviluppata, accogliendo il principio della tutela dell'affidamento nella conclusione dei contratti (c.d. commercializzazione del diritto privato) (1). La disciplina di tutti i contratti si ricollegava a queste medesime norme generali, che venivano sviluppate nelle singole ipotesi, e d'altro canto era unica (non si aveva più quella duplicítà di disciplina dello stesso contratto, caratteristica del sistema abrogato): non vi erano più contratti civili e contratti commerciali, ma singole figure contrattuali, la cui disciplina trovava applicazione in ogni caso, chiunque avesse concluso il contratto e qualunque ne fosse stato il motivo. Stante ciò, la collocazione della disciplina di un contratto nel progetto del libro delle obbligazioni o nel progetto del codice di commercio appariva arbitraria o

 

Anche nel campo processuale ogni distinzione fra azioni civili e azioni commerciali è scomparsa.

 

Estranea all'unificazione è rimasta la disciplina dei rapporti relativi alla navigazione, sia per acqua sia per aria, la quale disciplina, assieme alle disposizioni amministrative processuali e penali relative, è stata raggruppata in un corpo di legge a sé sotto il nome di codice della navigazione, che costituisce o dovrebbe costituire un ordinamento autonomo di rapporti

 

         1.7. La questione dell'autonomia del diritto commerciale nel si stema vigente.

 ‑ La tesi, pure autorevolmente sostenuta (1), secondo la quale le norme relative alle imprese commerciali ed alle loro

operazioni nell'ordinamento attuale costituirebbero un sistema autonomo ispirato a propri principi direttivi, per cui si dovrebbe parlare ancora oggi e nello stesso senso in cui se ne parlava sotto l'ordinamento previgente di un diritto commerciale, non è  attendibile. Anzitutto non sono ríntracciabili questi principi direttivi propri e diversi

da quelli che presiedono le altre norme e in fatto non ne vengono indicati . In secondo luogo il gruppo predetto di norme non è differenziato nel sistema, ma fa parte di esso (3). t inevitabile in queste condizioni che le norme relative agli stessi rapporti si coordinino fra di loro e quelle aventi un contenuto più circoscritto si artico1ino come applicazioni e svolgimenti o come eccezioni delle norme più generali. Il che naturalmente non esclude che dalle norme relative alle operazioni delle imprese commerciali possano desumersi principi generali, i quali però saranno principi generali validi per tutto il diritto civile.

 

Diversa questione è se convenga, ai fini dell'indagine, raggruppare le norme relative agli imprenditori commerciali ed alle loro operazioni, e quindi se convenga a questo ampio materiale normativo, che costituisce la parte più viva del diritto privato, dedicare un apposito insegnamento (c.d. autonomia didattica). La soluzione qui deve essere affermativa. La stessa importanza delle forze sociali a cui si ricollegano questi rapporti consiglia l'esposizione raccolta ed organica delle norme che li riguardano, e che in un insegnamento generale risulterebbero disperse. In secondo luogo, mentre i rapporti tradizionalmente civili hanno per lo più un contenuto economico sociale semplice e tradizionalmente noto, onde l'indagine degli studiosi gravita o addirittura si esaurisce nell'aspetto formale, invece i rapporti commerciali hanno di regola una complessità economica ed un tecnicísmo che occorre preventivamente indagare se vuole intendersene la disciplina. Lo studio formale in questa seconda ipotesi dunque richiede una pregiudiziale indagine di carattere tecnico economico, per la quale occorre un'adeguata preparazione dell'interprete. Si aggiunga infine che per l'intelligenza dei rapporti commerciali particolare importanza assume lo studio del diritto comparato (4), per la stessa tendenza che ha qui la disciplina ad uniformarsi nello spazio a causa delle frequenti relazioni di affari, che si allacciano tra soggetti di vari paesi.

 

Tuttavia il diritto commerciale non può esaurirsi nello studio delle imprese commerciali e delle loro operazioni. Vi sono istituti, i quali,pur essendo estranei alle imprese commerciali,sono modellati però  sullo stampo disposto per quelle.L’esempio tipico è dato dalla società semplice , che per sua essenza è  una società non commerciale, ma che ha una struttura analoga  a quella della società in nome collettivo.


 

[1] ENRICO PAOLI (L'autonomia del diritto commerciale nella Grecia classica, in Riv. dir. comm., 1935, 1, pag. 36

[2] Per lungo tempo lo studio del diritto commerciale rimase negletto: condannato, come scrive il VivANTE, « a vivere a mezza costa » fra l'empirismo della pratica e la severità degli studi del diritto civile. Ciò era agevolato dal considerare il diritto commerciale come un sistema a sé, di carattere eccezionale rispetto al diritto civile, per cui gli studiosi si limitavano per lo più a descrivere gli istituti senza cercare di inquadrarli nei principi, o, se anche lo tentavano, tostoché trovavano delle difficoltà, le attribuivano alle peculiarità dell'attività mercantile, finendo col concludere che si trattava di istituti sui generis. Una nuova fase s'iniziò col VIVANTE, che col suo Trattato di diritto commerciak ha fatto la prima sistemazione scientifica della materia.

 

[3]  (1) La prima parte dell'art. i del progetto era così formulata: « La legge considera commerciale ogni attività o?ganizzata ad impresa avente per oggetto: 1) operazioni relative alla produzione di cose o di servizi destinati allo scambio; 2) operazioni relative alla interposizione nello scambio di cose mobili od immobili; 3) operazioni bancarie; 4) operazioni di assicurazione; 5) operazioni ausiliarie alle precedenti ». La commercialità veniva poi riconosciuta dall'art. 2 all'esercizio del piccolo commercio e all'esercizio professionale della mediazione, dall'art. 3 ai rapporti relativi all'organizzazione di un'impresa commerciale ed ai trasferimento di quote ed azioni di imprese sociali, dall'art. 5 alla circolazione di titoli di credito, ai contratti di borsa a termine su titoli di credito ed ai rapporti relativi alla navigazione marittima ed aerea. Infine era posta la presunzione di commercíalità per tutti i rapporti patrimoniali del commerciante, esclusi quelli di famiglia e di successione per causa di morte.