Concetto di impresa?
Ai sensi dell'articolo 2082 del codice civile é imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi. Sono poi piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un'attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia (articolo 2083 del Codice Civile).
L'imprenditore commerciale si distingue dal lavoratore autonomo per il fattore "organizzazione": l'organizzazione dell'attività economica, al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi, va intesa, sotto il profilo giuridico, come coordinamento dei fattori della produzione (capitale e lavoro). Il lavoratore autonomo deve invece eseguire personalmente l'incarico assunto, anche se può avvalersi, sotto la propria direzione e responsabilità, di sostituti ed ausiliari (articolo 2232 del codice civile). L'imprenditore, civilisticamente, viene poi distinto in due grandi categorie: imprenditore agricolo ed imprenditore commerciale.
E' imprenditore agricolo (articolo 2135 del Codice Civile così come sostituito dall'art. 1, comma 1, D.Lgs. 18 maggio 2001, n. 228) chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse. Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine. Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge.
Sono commerciali (articolo 2195 del Codice Civile) gli imprenditori che esercitano le seguenti attività:
1) un’attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi;
2) un'attività intermediaria nella circolazione dei beni (commercio);
3) un'attività di trasporto;
4) un'attività bancaria o assicurativa;
5) altre attività ausiliarie delle precedenti (esempio le attività di mediazione).
L'impresa
Il concetto di "impresa" cui si riferisce l'articolo 28 del D.P.R. 600 non é tuttavia quello civilistico in quanto da un lato si riferisce alle sole imprese commerciali (sono state infatti espressamente escluse le imprese agricole) (36), dall'altro è più ampio di quello civilistico riferendosi a tutte le attività originanti redditi d'impresa ai sensi dell'articolo 51 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n.917 (Testo Unico delle Imposte sui redditi).
Il reddito complessivo delle società e degli enti commerciali è considerato reddito d’impresa da qualsiasi fonte provenga, quindi i contributi, diversi da quelli per l’acquisto di beni strumentali corrisposti a detti enti vanno sempre assoggettati a ritenuta. Nel caso di contributi corrisposti a soggetti diversi (persone fisiche, enti non commerciali) è necessario valutare la destinazione del contributo, ossia se erogato a fronte di attività che originano per il beneficiario redditi d’impresa commerciale. Il reddito d’impresa commerciale è definito dall’articolo 51 del T.U.I.R. e, precisamente:
ai sensi dell'articolo 51 del T.U.I.R, per esercizio di imprese commerciali si intende:
- l'esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività indicate nell'articolo 2195 del codice civile anche se non organizzate in forma d'impresa;
- l'esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività indicate alle lettere b) e c) del secondo comma dell'articolo 29 che eccedono i limiti ivi stabiliti, anche se non organizzate in forma di impresa. Ai sensi della lettera b) dell'articolo 29, che definisce il reddito agrario, é considerata attività agricola l'allevamento di animali con mangimi ottenibili per almeno un quarto dal terreno e le attività dirette alla produzione di vegetali tramite l'utilizzo di strutture fisse o mobili, anche provvisorie, se la superficie adibita alla produzione non eccede il doppio di quella del terreno su cui la produzione insiste.
Ai sensi della lettera c) sono considerate agricole le attività dirette alla manipolazione, trasformazione e alienazione di prodotti agricoli e zootecnici, ancorché non svolte sul terreno, che rientrino nell'esercizio normale dell'agricoltura secondo la tecnica che lo governa e che abbia per oggetto prodotti ottenuti per almeno la metà dal terreno e dagli animali allevati su di esso (37)
· le attività organizzate in forma di impresa dirette alla prestazione di servizi che non rientrano nell'articolo 2195 del Codice Civile;
· le attività di sfruttamento di miniere, cave, torbiere e simili;
· le attività agricole, anche se nel rispetto dei limiti di cui all'articolo 29, se effettuate dalle società di capitali, dagli enti diversi dalle società aventi per oggetto l'esercizio esclusivo o principale di attività commerciali, nonché dalle società in nome collettivo e in accomandita semplice (38)
Nelle attività dirette alla prestazione di servizi non rientranti nell'articolo 2195 del codice civile rientrano ad esempio, i servizi sanitari privati, i servizi di pulizia, i servizi per l'igiene e l'estetica alla persona, i servizi di insegnamento, i servizi ricreativi culturali e dello spettacolo ecc.
In sostanza, danno origine a reddito d'impresa tutte le attività di servizi a terzi, effettuate a pagamento, con un minimo di organizzazione, chiunque sia il soggetto erogatore del servizio, prescindendo dal fine di lucro. In questa ampia concezione rientrano le attività museali, quelle delle associazioni sportive, culturali, ecc., i servizi resi dagli enti pubblici per i quali é prevista una qualche forma di contribuzione, a meno che non siano riconducibili ad attività svolte d'autorità.
In conclusione, come ribadito in numerose risoluzioni ministeriali sulla applicabilità della ritenuta di cui all'articolo 28, l'espressione "imprese" contenuta nell'articolo 28, "non deve essere assunta in senso restrittivo, vale a dire alle sole aziende industriali e commerciali, ma riferibile a tutti indistintamente i soggetti passivi di imposta che svolgono, anche occasionalmente, attività produttiva di reddito di impresa, secondo la nozione fornita dall'articolo 51, che richiama l'art. 2195 del codice civile. Ne consegue che, sebbene il contributo venga erogato ad enti non commerciali, ciò che interessa é l'assoluta mancanza di qualsiasi attività produttiva di reddito d'impresa, a nulla rilevando l'organizzazione dell'ente, l'assenza di lucro. Ove, pertanto, il destinatario del contributo abbia, anche occasionalmente, svolto attività di natura commerciale, sui contributi in oggetto, corrisposti con riguardo a detta attività, deve essere operata la ritenuta alla fonte sopra richiamata."(R.M. 8/1420 del 24 luglio 1979) (39). Alla luce di quanto disposto dalla risoluzione ministeriale n. 150/E del 5 giugno 1995, per cui, ai fini del previo accertamento dei presupposti di fatto in base ai quali determinare l'applicabilità o meno della ritenuta "può risultare utile, per l'ente erogante, acquisire un'apposita dichiarazione da parte dei singoli beneficiari", si conferma, inoltre, l'opportunità di ricevere una attestazione da parte del legale rappresentante dell'ente beneficiario volta a consentire l'esatta individuazione del regime fiscale cui assoggettare il contributo concesso, attraverso l'accertamento della natura tributaria delle attività dell'ente di cui si tratta, e della destinazione dei contributi percepiti (Appendice, Allegato n. 12). A questo proposito, si sottolinea che tale dichiarazione del percipiente circa la propria natura imprenditoriale non è un elemento di per sè sufficiente per l'Amministrazione erogante nel senso che, ove dall'insieme della documentazione prodotta risultino elementi di commercialità, la Provincia non può limitarsi ad accettare acriticamente attestazioni di contenuto diverso.
Per gli enti non commerciali sono previste disposizioni fiscali particolari ai fini della determinazione del reddito d’impresa, che, in certi casi, escludono la rilevanza commerciale di determinate attività (laddove, ad esempio, per gli organismi associatici, l’attività non è rivolta a soggetti terzi) e, in altri casi, prevedono espressamente l’insussistenza dell’obbligo di operare la ritenuta di cui all’articolo 28. Poiché gli interventi finanziari pubblici a sostegno degli enti non commerciali sono rilevanti e ricorrenti si rappresenta il quadro normativo di riferimento agli effetti delle imposte sui redditi.
Enti non commerciali ed ONLUS
Il decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460 ha riordinato la disciplina degli enti non commerciali e ha introdotto un regime tributario speciale per le organizzazioni non lucrative di utilità sociale. Poiché la qualificazione di ente non commerciale è determinante, anche se non sufficiente, ai fini della verifica circa l’applicazione della ritenuta in oggetto è necessario conoscere il quadro di riferimento (40)
Enti non commerciali
Sono enti non commerciali gli enti pubblici e privati diversi dalle società che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali (art. 87, comma 1, lett.c) del T.U.I.R.). Nessun rilievo assume ai fini della qualificazione dell’ente non commerciale la rilevanza sociale delle finalità perseguite, l’assenza del fine di lucro o la destinazione dei risultati dell’esercizio. L’oggetto esclusivo o principale dell’ente è determinato in base alla legge (di solito per gli enti pubblici), all’atto costitutivo o allo statuto, se esistenti in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata o registrata. Per oggetto principale si intende l’attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari indicati dalla legge, dall’atto costitutivo o dallo statuto. In mancanza dell’atto costitutivo o dello statuto, l’oggetto principale dell’ente (residente) è determinato in base all’attività effettivamente esercitata nel territorio dello stato. Tuttavia, indipendentemente dalle previsioni statutarie, l’ente perde la qualifica di ente non commerciale qualora eserciti prevalentemente attività commerciali per un intero periodo d’imposta (articolo 111-bis del T.U.I.R.). A differenza di quanto avviene per le società e per gli enti commerciali, il reddito complessivo imponibile non è formato da un’unica categoria reddituale (reddito d’impresa) nella quale confluiscono i proventi di qualsiasi fonte: per gli enti non commerciali il reddito complessivo si determina sulla base della somma dei redditi appartenenti alle varie categorie reddituali (redditi fondiari, redditi di capitale, redditi d’impresa e redditi diversi). Non concorrono alla formazione del reddito degli enti non commerciali:
· i fondi pervenuti a seguito di raccolte pubbliche occasionali anche con scambio/offerta di beni di modico valore a coloro che fanno le offerte;
· i contributi corrisposti da enti pubblici per lo svolgimento in regime di convenzione o di accreditamento (tale regime è tipico dell’area sanitaria) di attività aventi finalità sociali esercitate in conformità ai fini istituzionali degli enti stessi.
Enti di tipo associativo
Gli enti di tipo associativo costituiscono una categoria degli enti non commerciali alla quale è riservato uno speciale regime fiscale agevolativo regolato dall’articolo 111 del T.U.I.R. In particolare: “1. Non è considerata commerciale l’attività svolta nei confronti degli associati o partecipanti, in conformità alle finalità istituzionali, dalle associazioni, dai consorzi e dagli altri enti non commerciali di tipo associativo. Le somme versate dagli associati o partecipanti a titolo di quote o contributi associativi non concorrono a formare il reddito complessivo. Si considerano tuttavia effettuate nell’esercizio di attività commerciali le cessioni di beni e le prestazioni di servizi agli associati o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici, compresi i contributi e le quote supplementari determinati in funzione delle maggiori prestazioni alle quali hanno diritto”. Resta inteso che l’attività “esterna” degli enti associativi, cioè quella resa dagli enti nei confronti dei terzi, non rientra nella regolamentazione dell’articolo 111.
Ulteriori norme agevolative sono dettate per particolari categorie di associazioni (articolo 111, comma 3, T.U.I.R.). Si prevede che per le:
· associazioni politiche;
· associazioni sindacali;
· associazioni di categoria;
· associazioni religiose;
· associazioni assistenziali;
· associazioni culturali;
· associazioni sportive dilettantistiche;
· associazioni di promozione sociale;
· associazioni di formazione extra-scolastica della persona,
“non si considerano commerciali le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti, di altre associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale, dei rispettivi associati o partecipanti e dei tesserati delle rispettive organizzazioni nazionali, nonché le cessioni a terzi di proprie pubblicazioni cedute prevalentemente agli associati”. Sono definite associazioni di promozione sociale quelle associazioni che promuovono la solidarietà e il volontariato nonché l’aggregazione sociale attraverso lo svolgimento di attività culturali o sportive al fine di innalzare la qualità della vita, come a esempio le Acli e l’Arci (41). Le associazioni di formazione extra-scolastica della persona non devono svolgere come attività principale l’organizzazione di corsi finalizzati all’apprendimento di conoscenze specifiche finalizzate all’inserimento nel mondo del lavoro.
Presunzione di commercialità. Per tutti gli enti associativi le seguenti prestazioni, ancorchè rese agli associati, sono in ogni caso commerciali (art.111, comma 4 del T.U.I.R.):
· cessioni di beni nuovi prodotti per la vendita;
· somministrazione di pasti;
· erogazione di acqua, gas, energia elettrica e vapore;
· prestazioni alberghiere, di alloggio, di trasporto e di deposito;
· prestazioni di servizi portuali e aeroportuali;
· gestione di spacci aziendali e di mense;
· organizzazione di viaggi e soggiorni turistici;
· gestione di fiere ed esposizioni a carattere commerciale;
· pubblicità commerciale;
· telecomunicazioni e radiodiffusioni circolari.
Eccezioni alla presunzione di commercialità per determinate prestazioni di servizi sono previste per le somministrazioni di alimenti e bevande effettuate dalle associazioni di promozione sociale, per l’organizzazione di viaggi e soggiorni turistici da parte delle associazioni di promozione sociale, politiche, sindacali, di categoria e religiose, per le cessioni di pubblicazioni di contratti collettivi nazionali effettuate dalle associazioni sindacali e di categoria, nonché l’assistenza prestata prevalentemente agli iscritti (ma non l’attività di assistenza fiscale).
Associazioni sportive dilettantistiche
Un regime di particolare favore ai fini delle imposte sui redditi è stabilito, per le associazioni sportive dilettantistiche, dalla legge n. 133 del 13 maggio 1999, recentemente modificata dalla legge n. 342 del 21 novembre 2000 (Collegato fiscale alla finanziaria 2000). In particolare, è previsto che per le associazioni sportive dilettantistiche, comprese quelle non riconosciute dal CONI o dalle Federazioni sportive nazionali purchè riconosciute da enti di promozione sportiva, che si avvalgono dell’opzione di cui all’articolo 1 della legge 16 dicembre 1991, n. 398, e successive modificazioni (e quindi con proventi non superiori a lire 360 milioni), non concorrono a formare il reddito imponibile, per un numero di eventi complessivamente non superiore a due per anno e per un importo non superiore al limite annuo complessivo fissato con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e con il Ministro per i beni e le attività culturali - attualmente pari a euro 51.645,69 (lire 100.000.000):
a) i proventi realizzati dalle associazioni nello svolgimento di attività commerciali connesse con gli scopi istituzionali;
b) i proventi realizzati per il tramite della raccolta pubblica di fondi effettuata in conformità all’articolo 108, comma 2-bis, lettera a), del TUIR.
ONLUS
L’articolo 16, comma 1, del decreto legislativo n. 460/1997 prevede che:
“Sui contributi corrisposti alle ONLUS dagli enti pubblici non si applica la ritenuta di cui all’articolo 28, secondo comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600” e tale esclusione vale anche nei confronti delle società cooperative ONLUS.
Le Organizzazioni non Lucrative di utilità sociale costituiscono un’autonoma categoria di enti rilevante ai soli fini fiscali, destinataria di un regime tributario di favore in materia di imposte sui redditi, d’imposta sul valore aggiunto e di altre imposte e tributi. I soggetti che possono assumere la qualifica di ONLUS sono i seguenti: associazioni riconosciute e non, comitati, fondazioni, società cooperative, altri enti di carattere privato con o senza personalità giuridica. I soggetti esclusi dal regime fiscale delle ONLUS sono i seguenti: enti pubblici, società commerciali, diverse dalle cooperative, enti conferenti di cui alla legge 30 luglio 1990, n. 218, associazioni di datori di lavoro, associazioni di categoria, enti non residenti. Al fine dell’acquisizione della qualifica di ONLUS gli enti devono redigere lo statuto o l’atto costitutivo nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata o registrata. L’articolo 10, comma 1, del D.Lgs. 460/1997 fissa il contenuto di tali atti fissando le clausole che gli stessi devono prevedere ed in particolare:
a) lo svolgimento di attività in uno o più dei seguenti settori:
· assistenza sociale e socio-sanitaria;
· assistenza sanitaria;
· beneficenza;
· istruzione;
· formazione;
· sport dilettantistico;
· tutela, promozione e valorizzazione delle cose d’interesse artistico e storico di cui alla legge 1939, n. 1089;
· tutela e valorizzazione della natura e dell’ambiente;
· promozione della cultura e dell’arte;
· tutela dei diritti civili;
· ricerca scientifica di particolare interesse sociale svolta direttamente da fondazioni ovvero da esse affidata ad università, enti di ricerca ed altre fondazioni;
b) l’esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà sociale.
c) il divieto di svolgere attività diverse da quelle menzionate alla lettera a) ad eccezione di quelle direttamente connesse (42);
d) il divieto di distribuire utili e avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell’organizzazione, a meno che la destinazione o la distribuzione non siano imposte per legge o siano effettuate a favore di altre ONLUS;
e) l’obbligo di impiegare gli utili o gli avanzi di gestione per la realizzazione delle attività istituzionali e di quelle ad esse direttamente connesse;
f) l’obbligo di devolvere il patrimonio dell’associazione ad altre ONLUS;
g) l’obbligo di redigere il bilancio e il rendiconto annuale;
h) disciplina uniforme del rapporto associativo ed altre clausole inerenti;
i) l’uso, nella denominazione o comunicazione rivolta al pubblico, della locuzione “organizzazione non lucrativa di utilità sociale” o dell’acronimo “ONLUS”.
Si intende che vengono perseguite finalità di solidarietà sociale quando le attività espletate nei settori dell’assistenza sanitaria, dell’istruzione, della formazione, dello sport dilettantistico, della promozione della cultura e dell’arte e della tutela dei diritti civili non sono rese nei confronti dei soci, ma dirette ad arrecare benefici a persone svantaggiate in ragione di condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiari (disabili fisici e psichici, tossicodipendenti, alcolisti, indigenti, anziani non autosufficienti in condizioni di disagio economico, minori abbandonati, orfani o in situazioni di disadattamento o devianza, profughi immigrati non abbienti) o a componenti collettività estere, limitatamente agli aiuti umanitari. Si considerano invece comunque inerenti a finalità di solidarietà sociale le attività statutarie svolte nei settori dell’assistenza sociale e socio-sanitaria, della beneficenza, della tutela, promozione e valorizzazione delle cose d’interesse artistico e storico (n.7), della tutela e valorizzazione della natura (n. 8), della ricerca scientifica (n. 11), nonché le attività della promozione della cultura e dell’arte per le quali sono riconosciuti apporti economici da parte dell’amministrazione centrale dello stato.
Enti considerati in ogni caso ONLUS. Sono in ogni caso considerati ONLUS gli organismi di volontariato di cui alla legge 11 agosto 1991, n. 266, iscritti negli appositi registri, le organizzazioni non governative riconosciute idonee ai sensi della legge 26 febbraio 1987, n. 49, le cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, iscritte nell’apposito registro. L’automatica qualificazione come ONLUS per detti enti comporta che gli stessi non sono tenuti ad adeguare i propri statuti alle disposizioni di cui all’articolo 10, comma 1, del D.Lgs 460/97 (43). Gli enti in questione possono beneficiare anche delle norme agevolative recate dal D.Lgs. 460/97, se di maggior favore rispetto a quelle previste dalle specifiche norme.
Esenzioni soggettive dall’imposta.
Per quanto riguarda gli enti pubblici territoriali, in base all'articolo 88 del T.U.I.R. non sono soggetti all'I.R.PE.G i seguenti enti: organi ed amministrazioni dello Stato, compresi quelli con ordinamento autonomo, anche se dotati di personalità giuridica, i comuni, i consorzi tra enti locali, le associazioni e gli enti gestori di demani collettivi, le comunità montane, le province, le regioni.
Non costituiscono inoltre esercizio di attività commerciali:
a) l'esercizio di funzioni statali da parte di enti pubblici;
b) l'esercizio di attività previdenziali, assistenziali e sanitarie da parte di enti pubblici istituiti esclusivamente a tal fine, comprese le unità sanitarie locali (44)
Nessuna ritenuta va quindi applicata ai contributi erogati ad esempio a comuni e comprensori, a consorzi di comuni, a fronte anche di attività oggettivamente di natura commerciale, in quanto esenti dall'imposta sul reddito delle persone giuridiche (45)
Non sono soggetti a ritenuta d’acconto i contributi erogati ad imprese che si avvalgono del “regime fiscale agevolato per le nuove iniziative imprenditoriali” introdotto dall’art. 13 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (legge finanziaria per il 2001), oppure del “regime fiscale agevolato per le attività marginali” di cui all’art. 14 della medesima legge finanziaria (si veda, supra, all’interno del paragrafo 6.2 il titolo: “regimi fiscali agevolati: casi di divieto di applicazione della ritenuta d’acconto da parte del sostituto d’imposta”).
b) Contributo non destinato all’acquisto di beni strumentali
Sono esclusi dalla applicazione della ritenuta di cui all'articolo 28 i contributi destinati all'acquisto di beni strumentali. Come tali vanno considerati i beni ammortizzabili materiali (art. 67 del T.U.I.R.) o immateriali (articolo 68 del T.U.I.R: diritti di utilizzazione di opere dell’ingegno, di brevetti industriali, marchi). La inapplicabilità della ritenuta é estesa anche a tutti i contributi in conto capitale non destinati specificatamente all'acquisto di beni strumentali, ma comunque destinati alla ristrutturazione e al potenziamento dell'apparato produttivo dell'impresa, quali i contributi per ristrutturazioni ove i costi vadano ad integrare il valore da ammortizzare dei cespiti ai quali afferiscono.
Sono pertanto soggetti alla ritenuta i contributi cosiddetti in conto esercizio, che influiscono positivamente sul risultato d’esercizio del soggetto beneficiario (art. 53, lettera f) del T.U.I.R.), ossia quelli destinati ad integrare i ricavi o a ridurre i costi di gestione dei soggetti beneficiari, quali i contributi per: assunzione di personale, per acquisizione scorte, per abbattimento di oneri finanziari. Sono comunque soggetti a ritenuta, a seguito delle modificazioni apportate all’articolo 55 del T.U.I.R (sopravvenienze attive) dalla legge 27 dicembre 1997, n. 449, anche i contributi in conto capitale diversi da quelli destinati all’acquisto di beni ammortizzabili, quali ad esempio i contributi per integrare i fondi rischi degli enti di garanzia collettiva fidi.
b.1) Contributi in conto leasing.
In materia di contributi erogati in conto leasing è recentemente intervenuta la Direzione provinciale dell’Agenzia delle Entrate la quale, con nota di data 22 marzo 2001, in risposta ad un quesito della Provincia, ha introdotto alcune novità interpretative. L’analisi condotta dall’amministrazione finanziaria prende le mosse dalla verifica della destinazione del contributo; precisamente: “una volta ritenuto che il contributo sia diretto all’acquisto di un bene strumentale, si giunge all’automatica conseguenza di escluderne l’inserimento nella categoria dei <contributi in conto esercizio>, si afferma l’inapplicabilità della ritenuta del 4% e si annovera lo stesso tra i <contributi in conto impianti>”. Il Ministero sottolinea che il più volte richiamato art. 28, comma 2, del DPR n. 600/1973, ritaglia l’area dell’esclusione dall’assoggettamento alla ritenuta d’acconto del 4 per cento, in riferimento ai contributi diretti all’“acquisto dei beni strumentali”. Il termine (acquisto) “deve essere interpretato nel senso di un riferimento a qualsivoglia realizzazione del trasferimento a titolo (ovviamente) oneroso della proprietà sui beni stessi, mentre non possono farsi rientrare nell’eccezione di cui alla norma le acquisizioni in semplice disponibilità”. Ne consegue che ove nell’ambito del concreto contratto di leasing prevalga – rispetto a quella dell’acquisto – la finalità di consentire al soggetto di entrare nella “disponibilità” del bene, la categoria di classificazione dovrebbe essere quella del contributo in conto esercizio; ove, viceversa, nell’ambito del concreto contratto di leasing prevalga –rispetto a quella del mero utilizzo – la finalità di consentire al soggetto di entrare nella “proprietà” del bene, la categoria di classificazione dovrebbe essere quella del contributo in conto impianti. Ciò stante “se nel leasing venisse evidenziato il continuo godimento di un bene strumentale a fronte di corresponsioni periodiche (canoni) lasciando del tutto in secondo piano l’eventualità dell'acquisto del bene stesso, si giungerebbe all’equiparazione ad un normale prestito sicchè i canoni leasing (…) assumerebbero la veste di ordinari costi gestionali”, di contro, la finalizzazione del contratto di cui si tratta all’instaurazione di un diritto di proprietà sullo stesso da parte del soggetto, ne permetterebbe l’assimilazione ad una “normale” compravendita di beni strumentali (46)
Esenzioni oggettive:
· Vi sono tuttavia delle esenzioni assolute oggettive dalla ritenuta di cui all'articolo 28 contemplate da specifiche disposizioni normative, quali:
· contributi corrisposti alle attività regolate dalla legge 14 agosto 1967, n. 800, intese a favorire la formazione musicale, culturale e sociale della collettività nazionale (la disposizione esonerativa é recata dall'articolo 2 della legge 6 marzo 1980, n.54) (47)
· contributi erogati a favore di aziende esercenti pubblici esercizi di trasporto (art. 27-bis D.L. 22 dicembre 1981, n. 786 e art. 8, nono comma, legge 22 dicembre 1984, n. 887;
· versamenti eseguiti dagli enti pubblici per corsi di formazione del personale (articolo 8, comma 34, legge 11 marzo 1988, n. 67 e art. 14, commi 10 e 11 legge 24 dicembre 1993, n.537; art. 66, comma 9-bis, D.L. 30 agosto 1993, n. 331);
· somme erogate dall'AIMA per gli interventi nel mercato agricolo (art. 2, ottavo comma, D.L. 12 agosto 1983, n. 371)
· secondo quanto disposto dall'articolo 1-bis del D.L. 11 aprile 1989, n. 125, convertito dalla legge 2 giugno 1989, n. 214, le attività istituzionalmente proprie, svolte ai sensi delle vigenti disposizioni legislative statali e regionali, da consorzi di bonifica e di miglioramento fondiario, anche di secondo grado, non costituiscono attività commerciale;
ai sensi dell'articolo 20, comma 3, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 598 non è considerata commerciale l’attività di “prestazione alle imprese consorziate o socie, da parte di consorzi o cooperative non aventi fini di lucro, di garanzie mutualistiche e di servizi concernenti il controllo qualitativo dei prodotti, compresa l'applicazione di marchi di qualità”.