DA  F.GALGANO,Le istituzioni dell’economia capitalistica,Bologna.Zanichelli,1980

 

Capitolo 8

 

La funzione sociale dell'impresa privata

 

L'imprenditore e l'utilità sociale

 

Fra i postulati dell'economia classica, che pressoché tutti gli economisti di questo secolo hanno finito con il ripudiare, c'é il rapporto che essa aveva stabilito fra iniziativa privata e prosperità generale: questa era effetto « naturale » della libera iniziativa dei privati imprenditori, ed un effetto tanto pi' sicuro quanto maggiore fosse stata la libertà garantita alla loro iniziativa. « Non è una deduzione corretta dai principi di economia » ‑così Keynes ne ha fatto giustizia' ‑ « che l'interesse egoistíco illuminato operi sempre nell'interesse pubblico; né è vero che l'interesse egoistico sia sempre illuminato: più spesso individui che agiscono separatamente per promuovere i propri fini sono troppo ignoranti o troppo deboli perfino per raggiungere questi fini ». Il nostro Einaudi ha insinuato, addirittura, che quel postulato sia « un fantoccio mai esistito », una « invenzione degli anti‑liberistí » '.

 

Dal ripudio del liberismo o, se si preferisce, del proto‑liberismo, nasce un arduo problema di legislazione, che è di armonizzare P« interesse egoistico » con l'« interesse pubblico », la ricerca privata del profitto con l'utilità generale. R, nel linguaggio dei giuristi, il problema della « funzionalizzazione » dell'impresa privata, del piegarla a realizzare una « funzione sociale ». La nostra Costituzione affronta questo problema con l'art. 41: il primo comma dichiara che « l'iniziativa economica privata è libera »; il secondo comma precisa che essa « non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana »; il terzo comma aggiunge che « la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali ». Con questo ultimo comma è la stessa Costituzione a prendere, implicitamente, posizione sul rapporto fra iniziativa economica e utilità sociale: la premessa dalla quale la norma muove è che, in mancanza di programmi e di controlli opportuni, da stabilire con legge, non può dirsi garantita la destinazione sociale dell'attivítà produttiva. E c'è di più. La norma pone sullo stesso piano l'attività economica privata e pubblica, « dimostrandosi con ciò » ‑ ha osservato Pietro Barcellona' ‑ « che la gestione pubblica della attività economica non implica automaticamente la socialità del risultato, cioè una destinazione sociale della ricchezza »; essa spezza l'antica presunzione secondo la quale l'azione dei pubblici poteri è, per definizione, volta a realizzare il bene collettivo, e non interessi di parte.

 

Si propone, di fronte a questo articolo, un altrettanto arduo problema interpretativo, alla base del quale si annida, come spesso accade, una precisa scelta politica: chi è il destínatario della norma secondo la quale l'iniziativa economica privata, benché libera, « non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale »? ne è destinatario lo stesso imprenditore, il quale deve conformare la propria condotta al criterio dell'utilità sociale? o ne è destinatario soltanto lo Stato, legittimato dal secondo comma dell'art. 41 Cost. a porre norme di legge che, in vista della realizzazione dell'utilità sociale, limitano la libertà di iniziativa riconosciuta all'imprenditore dal primo comma? Federico Mancini ha sintetizzato i termini del problema qualificando la prima ,soluzione come « funzionalizzazione in senso forte.» e la seconda come « funzionalizzazione in senso debole » '; ma si vedrà tra breve che i termini della qualificazione debbono essere invertiti: è « forte » quella che Mancini definisce « funzionalizzazione debole »; è « debole » quella che egli definisce forte.

 

In senso corrispondente al primo termine della alternativa si sono pronunciati non pochi interpreti della Costituzione: essi hanno sostenuto che, per effetto dell'art. 41 comma 2*, l'iniziativa economica privata può dirsi « legittima soltanto in quanto socialmente utile »; e ne hanno tratto la conseguenza che l'« utilità sociale » costituisce un immediato criterio di valutazione dell'attività dell'imprenditore.

0gni, atto di impresa, che sia « in contrasto con l'utilità sociale », dovr!bbe considerarsi viziato da eccesso di potere: esso potrebbe, su iniziativa di chiunque vanti un interesse legittimo in tal senso, essere annullato dall'autorità giudiziaria ordinaria'.

 

Ríafflora, in tal modo, una concezione strumentale della libertà di iniziativa economica che già era stata proclamata in epoca « corporativa » dalla Carta del lavoro (« strumento dell'interesse nazionale », questa l'aveva definita), e che, al di là di questa sua storica utilizzazione, corrisponde ad un più vasto movimento di pensiero sviluppatosi all'interno della società capitalistica, il quale investe il modo diconcepire ogni libertà civile riconosciuta all'individuo, compresa la stessa autonomia contrattuale. Il punto di partenza può essere identificato nella dottrina politica del cosiddetto « liberalismo moderno », sorta nell'Inghílterra di fine Ottocento e legata al nome di Thomas Hill Green: le libertà del singolo vengono concepite non più come libertà « dallo Stato », come assenza di costrizione legale, ma come « possibilità legale di contribuire al bene comune ». La stessa « libertà di contratto », ossia l'autonomia contrattuale, veniva definita da Green in questi termini: « la libertà di contratto non è un fine in sé, ma un mezzo a fine ». L'influsso di queste correnti di pensiero operava, in Italia, dopo il ripristino delle istituzioni democratiche e faceva dire, ad esempio, a Piero Calamandrei che. « le libertà civili, viste nella loro funzione altruistica, devono essere concepitecome libertà politiche ».

 

Quando si scrive, come scrivono i fautori della pretesa funzionalizzazíone « forte », che i singoli atti di impresa debbono ritenersi soggetti al sindacato dell'autorità giudiziaria sotto il profilo dell'eccesso di potere, si applica all'imprenditore privato una figura, quella dell'eccesso di potere, che è propria del diritto pubblico: l'imprenditore privato viene trattato, sotto questo aspetto, alla stessa stregua di un organo della pubblica amministrazione, il quale non può esercitare il potere conferitogli se non per realizzare le pubbliche finalità per le quali il potere gli è stato conferito (ed incorre in « eccesso di potere » se lo esercita per fini diversi). Si mostra così di concepire la libertà di iniziativa economica privata, riconosciuta dalla Costituzione, come una sorta di « delega »> dallo Stato ai privati, di un potere che non può essere altrimenti esercitato se non per il persegulmento dell'utilità collettiva.

Il quadro che ne risulta è alquanto mistificatorio: il dire che l'iniziativa economica privata « è legittima in quanto socialmente utile » equivale al dire che essa è legittima perché socialmente utile. In un sistema che riconosce come lecita la ricerca privata del profitto (signífìcato che non può certo essere negato al riconoscimento costituzionale della libertà di « iniziativa economica privata »), esprimere valutazioni di quel genere equivale a formulare una giustificazione « sociale » del profitto privato, a concepire questo come rimunerazione del « servizio sociale » prestato dall'imprenditore. Si scrive, infatti, che « quello che c'è di nuovo [nella Costituzione] è che la legge considera giusto (= legittimo) il reddito di chi svolge un'attività economica soltanto quando questa porti un'effettiva utilità » I. Al di là di ogni, pur apprezzabile, intenzione dei loro assertori, teorie del genere di quelle ora esaminate si traducono, alla prova dei fatti, in una apologia dell'íníziativa economica privata, oltre tutto estranea alla Costituzione.

 

Ci si avvicina di più allo spirito di questa se si afferma che essa non assegna « funzioni » ai cittadini, imponendo loro di agire per l'utilità sociale, ma riconosce ai cittadini delle « libertà », garantisce dei « diritti fondamentali », per la realizzazione dei loro particolari interessi. Il discorso vale anche per l'iniziativa economica: caratteristica delle carte costituzionali è, nei sistemi capitalistici, di concepire la libertà di iniziativa economica privata alla stessa stregua di ogni altro diritto di libertà. Il suo riconoscimento costituzionale non presenta caratteri diversi dal riconoscimento costituzionale della libertà di pensiero o della libertà di associazione: al pari di queste, la libertà di iniziativa economica privata è concepita come « un aspetto della libertà umana »'.

 

Il sistema costituzionale si basa sul presupposto che l'iniziativa economica sia uno dei modi, degni di tutela, mediante i quali l'individuo realizza la propria personalità: questo e soltanto questo, è il fondamento del riconoscimento costituzionale della libertà di iniziativa economica privata, il fondamento della riconosciuta legittimità della ricerca privata del profitto. Con il che non si fa, per altro verso, l'apologia dell'iniziativa economica privata, come ha ritenuto Manciní, per il quale avrei, con le parole ora riportate' finito con l'ammettere che « dell'iníziatíva privata, avendola assunta come valore in sé, è la Costituzione per prima a tessere l'apologia ». Poco prima, in relazione all'art. 4 comma 2' (per il quale « ogni cittadino ha il do' vere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività o.una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società »), lo stesso Mancini aveva scritto che « al progresso spirituale può dirsi che collabori anche chi si esclude dalla comune tensione al progresso materiale, anche chi contesti la desiderabilità di quest'ultimo », per concludere nel senso che « il comma secondo sia scritto in modo da garantire le scelte del trappista o dello hippy ». Orbene, posso replicare che l'art. 41 comma 1*, secondo la lettura da me proposta, non fa l'apologia dell'iniziativa economica privata più di quanto l'art. 4 comma 2* faccia, nella interpretazione di Federico Mancini, l'apologia del trappista o dello hippy.

 

L'« utilità sociale » non è la ragione giustificatrice di questa, come delle altre libertà riconosciute ai cittadini; non è la ragione giustificatrice del profitto privato: essa opera come limite alla libertà di iniziativa economica e, quindi, alla ricerca del profitto. Ma un limite che tocca una delle « libertà fondamentali » dell'indíviduo qual é, nei sistemi capitalistici, la libertà di iniziativa economica non può essere posto che dalla legge: è l'orientamento costante della Corte costituzionale: significativa, per la motivazione, è la sentenza secondo la quale la necessità della legge si desume « tanto dai principi generalí, informatori dell'ordinamento democratico, secondo i quali ogni specie di limite posto ai diritti dei cittadini abbisogna del consenso dell'organo che trae da costoro la propria diretta investitura, quanto dall'esigenza che la valutazione relativa alla convenienza della imposizione di uno o di altro limite sia effettuata avendo presente il quadro complessivo degli interventi statali nell'economia, inserendolo armonicamente in esso, e pertanto debba competere al Parlamento, quale organo da cui emana l'indirizzo politico generale dello Stato » '.

 

La norma dell'art. 41 comma 2* Cost. ha per destinatari gli organi legislativi dello Stato: essa li autorizza a porre limiti, in nome dell'« utilità sociale », alla libertà di, iniziativa economica privata, garantita dal primo comma. Ma sarà la legge a valutare ciò che corrisponde e ciò che, invece, contrasta con l'utilità sociale: il sindacato dell'autorità giudiziaria avrà per oggetto non la conformità o la difformità dell'attività dell'imprenItore all'« utilità sociale », ma la sua conformità o difformità alla legge.

 

Formulare questa conclusione non significa, si badi, dichiararsi contrari ad una « funzionalizzazione » dell'iniziativa economica privata alla utilità sociale; significa opporsi, invece, all'idea che l'iniziativa economica privata sia stata già funzíonalizzata dall'art. 41 comma 2* della Costituzione e che non esista ormai, nel nostro paese, altra legittima specie di iniziativa economica privata che non sia l'« iniziativa economica privata funzionalizzata all'utifità sociale »; onde altro non resterebbe da fare se non attendere che l'autorità giudiziaria, e l'autorità governativa, ne traggano le debite conseguenze e prendano, con sentenza o con atto amministrativo, i concreti provvedimenti esecutivi.

 

Concepita nei termini qui criticati, la « funzionalizzazione » dell'attivita economica privata è, nella migliore delle ipotesi, una funzionalizzazione illusoria: si lasciano le cose come stanno e, tuttavia, ci si pone nella condizione verbale di proclamare che l'iniziativa privata è, nel nostro paese, funzíonalizzata all'utilità sociale; ma può essere anche, ciò che è più pericoloso, una funzionalizzazione autoritaria: ogni decisione sul se intervenire, in nome dell'utilità sociale, sulla iniziativa economica privata e sul come, sul quando, sul dove intervenire è rimessa al potere esecutivo e al potere giudiziario, ai di fuori di ogni dibattito di fronte all'opinione pubblica e alle forze socíali, di ogni confronto con le forze politiche di opposizione.

 

P, mio fermo convincimento che l'iniziativa economica privata debba, in attuazione della Costituzione, essere funzíonalízzata all'utilità sociale: deve, tuttavia, trattarsi di una funzionalizzazione reale, e non mistificata; e deve trattarsi di una funzionalizzazione democratìca. La sua veste formale è la legge, la sua sede costituzionale sono le assemblee elettive ‑ il Parlamento e, nell'ambito ‑ della competenza legislativa delle regioni, i consigli regionali ‑ nellaperto dibattito di fronte al paese, nel díalettico confronto fra tutte le forze politiche. t degno di nota che, proprio in tema di attuazione dell'art. 41 comma 2*, la Corte costituzionale abbia, con la sentenza poc'anzi ricordata, rivendicato al Parlamento la posizione costituzionale di « organo da cui emana l'indirizzo politico generale dello Stato ».

 

Il discorso sui rapporti fra imprenditore privato e prosperità collettiva si sposta, a questo punto, dalla Costituzione alle leggi ordinarie. Da queste ci si deve attendere la determinazione del concetto di « utilità sociale », ‑quale limite alla libertà di iniziativa economica; dall'esame di queste si debbono trarre elementi per un giudizio su come è realmente concepito, nel nostro sistema, il rapporto fra imprendítore privato e utilità sociale: se come rapporto che, per po. tersi realizzare, esige molteplici e penetranti interventi legislativi o non, piuttosto, come rapporto che si realizza « naturalmente », essendo l'operosità dei privati ' spinti dalla ricerca del profitto, elemento di per sé sufficiente ‑ secondo i postulati del liberalismo classico ‑ a garantire la prosperità generale. Sotto questo aspetto, lo stesso silenzio degli organi legislativi può essere giudicato come una « forma di valutazione »: la mancanza o la scarsezza di leggi che, in nome dell'« utilità sociale », pongano limiti alla iniziativa economica privata rivela l'implicita valutazione del potere legislativo che l'iniziativa degli imprenditori privati, già nel suo spontaneo determinarsi, realizza N utilità sociale ». Il giudizio è di Vincenzo Spagnuolo‑Vigorita: « il contegno omissivo del legislatore costituisce un implicito giudizio di conformità della libertà di iniziativa economica all'utilità sociale » 9.

 

L'impresa privata potrà, dunque, dirsi « funzíonalizzata » all'utilità sociale solo se e solo nella misura in cui esistano specifiche leggi che la funzionalizzino. Oltre che sulla base del secondo comma dell'art. 41, la funzionalizzazione dovrà procedere ‑ è il tema già trattato alla fine del sesto capitolo ‑ sulla base del terzo comma, ai sensi del quale « la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali ».