Lo «statuto» dell'imprenditore commerciale
Il sistema originario del codice identificava imprenditori soggetti a registrazione» e «imprese commerciali e riservava all'imprenditore commerciale questa disciplina, » (v. l'art. 2195 cod. civ.).
In particolare, con l'art. 8 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, che ha finalmente superato un cinquantennale regime transitorio e istituito l'ufficio del registro delle imprese presso le camere di commercio, si sono previste sezioni speciali» per l'iscrizione degli imprenditori agricoli, dei piccoli imprenditori, delle società semplici, degli artigiani e delle società tra avvocati (v. anche il regolamento adottato con d.p.r. 7 dicembre 1995, n. 581); ma si è sottolineata una differenza di ruolo tra queste sezioni speciali e quella che ora dobbiamo chiamare «ordinaria».
Dispone infatti la legge che «l'iscrizione nelle sezioni speciali ha funzione di certificazione anagrafica e di pubblicità notizia».
Sicché alla sezione ordinaria, quindi alle imprese commerciali, è rimasto riservato il significato originariamente proprio del registro delle imprese e che, con formula classíficatoria peraltro ambigua, tradizionalmente si definisce sul piano di una pubblicità dichiarativa oppure, in altri casi, costitutiva.
Si evidenzia così l'eterogeneità degli interessi perseguiti: quello del pubblico a un'ampia informazione, in sostanza alla trasparenza delle attività economiche comunque organizzate e svolte, e quello dell'ímprenditore commerciale a poter disporre di strumenti i quali, secondo modalità adeguate alle caratteristiche della sua attività, ne agevolino lo svolgimento nei rapporti con i terzi. Qui si spiega per un verso la proclamata «unicità» del registro delle imprese (v. l'art. 7, d.p.r. n. 581/1995), il quale ha assorbito il preesistente registro delle ditte e persegue in tal modo una completezza informativa delle attività economiche; e per un altro verso la sua articolazione in sezioni, con la conseguente diversità di «effetti» dell'iscrizione in esse.
Ne risulta, se si vuol dire, una sorta di. «prívílegio» per l'impresa commerciale: è consentito, con l'iscrizione nella sezione ordinaria del registro delle imprese, di ottenere risultati che altrimenti, se si dovesse ricorrere alle consuete tecniche civilístiche, si rivelerebbero sicuramente più costosi e incerti.
Il punto si coglie con chiarezza nelle ipotesi tradizionalmente definite di pubblicità dichiarativa: ove il risultato dell'opponibilità ai terzi è ottenuto avvalendosi di un servizio predisposto in via generale dall'ordinamento, il registro delle imprese appunto, senza l'esigenza di una specifica attività informativa da parte dell'imprenditore e senza soprattutto la necessità di verificarne in concreto l'adeguatezza.
Questo è il significato sia della portata positiva della pubblicità, per cui i fatti iscritti sono opponibili ai terzi a prescindere dalla loro conoscenza e dalla loro stessa conoscibilità in concreto, sia della sua portata negativa, che non impedisce di opporre i fatti non iscritti quando si dimostri che i terzi ne abbiano avuto conoscenza (v., per entrambi i profili, l'art. 2193 cod. civ.).
Si comprende il senso di tale «privilegio». Esso si spiega per, e si rivolge a, le peculiarità della vicenda imprenditoriale: una vicenda caratterizzata per il significato oggettivo della organizzazione e che richiede tecniche ugualmente oggettive per l'opponibilità del suo atteggiarsi ai terzi, tecniche in grado di superare l'esigenza di un'analisi delle singole situazioni individuali.
Perciò, come osservato, la recente disciplina che estende questa efficacia «dichiarativa» alla pubblicità, pur attuata in sezioni speciali, delle attività agricole (art. 2, d.lgs. 18 maggio 2001, n. 228) deve in ogni caso presupporre trattarsi d'attività propriamente imprenditoriali: in ultima analisi circoscritte all'ipotesi dell'agricoltura «industrialízzata».
Fondamentalmente omogeneo è il significato delle disposizioni per cui si discorre di un'efficacia parzialmente costitutiva della pubblicità. Esse, come per esempio quella dell'art. 2445, terzo comma, cod. civ., o l'altra dell'art. 2503 cod. civ., ugualmente si avvalgono del registro delle imprese come parametro per una definizione oggettiva dei rapporti con i terzi; mentre si distinguono dalla soluzione generale dell'art. 2193 cod. civ. in quanto escludono la possibilità di riconoscere un valore equivalente alla conoscenza effettiva da parte del terzo. Si tratta in definitiva di un'ulteriore accentuazione di quell'esigenza d'oggettività (e sotto questo aspetto analoga classificazione potrebbe darsi alla regola del primo comma dell'art. 2297 cod. civ. in tema di societa m nome collettivo non iscritta).
Soltanto per una graduazione d'ordine quantitativo queste ipotesi si distinguono dalle altre in cui si parla d'efficacia totalmente costitutiva (come, per esempio, nell'art. 2331 cod. civ. o nell'art. 2504 bis cod. civ.). Concorrono qui da un lato l'inammissibilità di tecniche equivalenti per la rilevanza della vicenda organizzativa, dall'altro l'indistinguibilità per essa dei rapporti esterni e di quelli interni. Perciò siffatta soluzione è tipica del settore delle società di capitali ove tale indistinguibilità più chiaramente si rivela (e ove, anche per ciò, divengono pure possibili ipotesi di pubblicità c.d. «sanante»: v. l'art. 2332 cod. civ.).
Ma interessa ora soprattutto sottolineare la razionalità della scelta legislativa che alla pubblicità nel registro delle imprese assegna tali significati, nelle loro diverse sfumature, ove l'attività economica presenta le caratteristiche d'oggettività da cui ne sorge l'esigenza: con riferimento perciò all'impresa «commerciale».
Per questo motivo a tali risultati non si può giungere, neppure facendo leva sulla generica situazione di «conoscibilità» che ne risulta, quando si tratta d'attività economiche prive di siffatte caratteristiche, quelle iscritte nelle «sezioni speciali» del registro delle imprese; mentre, per converso, quando il legislatore ha posítivamente affermato questo ruolo per la «sezione speciale» delle attività agricole, la logica del sistema induce a ritenere che ciò debba essere giustificato dalla presenza in concreto di quelle caratteristiche.
Ma per questo motivo, spiegandosi l'«efficacia» della pubblicità per il significato organizzativo delle vicende cui si riferisce, sembra corretto ricondurne la portata ai profili ove di ciò propriamente si tratta. Ad essa non ci si può quindi richiamare per la soluzione di problemi diversi, come quelli riguardanti conflitti nella circolazione dei beni (come astrattamente si potrebbe pensare per la pubblicità dei trasferimenti d'azienda o di quote di partecipazione in società: v. gli artt. 2556 e 2479 cod. civ.), o per rendere opponibili rapporti giuridici cui per definizione quel significato risulta estraneo (quali in particolare i patti parasociali: v. l'art. 122 del testo unico delle disposizioni in materia d'intermediazione finanziaria, d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58).
2. La tenuta delle scritture contabili. Prospettive analoghe si colgono in un altro dei momenti dello «statuto» dell'imprenditore commerciale, quello concernente la tenuta delle scritture contabili. Perciò al relativo obbligo sono sottratti i piccoli imprenditorí, ove di un'organizzazione dell'attività non può discorrersi (v. l'art. 2214 cod. civ.).
Concorre a spiegarlo una serie d'esigenze. Si tratta della circostanza che l'organizzazione dell'impresa in «uffici» implica una documentazione dell'attività: esigenza la quale spesso si riflette nei modi d'instaurazione dei rapporti con i terzi, caratterizzati dall'adozione di tecniche formali, ma che richiede comunque strumenti di documentazione interna, idonei a costituire quella che potrebbe chiamarsi la «memoria» dell'impresa e dei suoi «uffici». Si tratta inoltre della necessità che il processo decisionale dell'imprenditore si basi su un adeguato processo informativo: essendo il secondo, a ben guardare, il momento iniziale, e forse il più importante, del primo. E infine dell'esigenza, tipica dei sistemi organizzati gerarchicamente, di strumenti per H monitoraggio dell'attività di coloro che vi partecipano, in modo da poter ridurre il rischio di comportamenù «opportunístici», e più in generale per poterne verificare gli esiti economici.
Si potrebbe affermare che i modi di tenuta della contabilità riflettono ed esprimono quelli stessi dell'organizzazione dell'inipresa.
Perciò la legge pone l'obbligo di tenere le «scritture contabili che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell'impresa» (v. il secondo comma dell'art. 2214 cod. civ.): richiede così la loro coerenza con le caratteristiche concrete dell'organizzazione imprenditoriale. Essa si limita a indicare esplicitamente il minimo di documentazione, quindi in ogni caso richiesto, necessario per le finalità segnalate: che si documentino nel libro giornale le operazioni giornalmente compiute (v. l'art. 2216 cod. civ.) e nell'inventarío i risultati economici dell'esercizio (v. l'art. 2217 cod. civ.).
Si comprendono le sanzioni penali in caso di fallimento, sia per la mancata o irregolare tenuta della contabilità (v. il secondo comma dell'art. 217, legge fallimentare) sia per l'ipotesi più grave in cui essa non rende possibile «la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari» (v. il n. 2 dell'art. 216, legge fallimentare). Tali casi evidenziano un'irregolarità nei modi in cui l'impresa è concretamente organizzata e si pongono così su un piano omogeneo con le altre ipotesi individuate in queste disposizioni di sua gestione non «corretta».
E in questa prospettiva diviene possibile l'utilizzazione delle risultanze delle scritture contabili con riferimento a vicende dell'impresa o di suoi singoli rapporti. Come avviene in caso di tra
sferimento d'azienda, quando servono a individuare i debiti di cui risponde l'acquirente (v. l'art. 2560, secondo comma, cod. civ.), e soprattutto assegnando ad esse un ruolo nelle controversie di cui è parte l'imprenditore: le si riconosce un valore di tipo confessorio se utilizzate come mezzo di prova contro l'imprenditore (perciò, come la confessione, inscindibili: v. l'art. 2709 cod. civ.), e possono anche far prova a suo favore in vertenze «tra imprenditori per i rapporti inerenti all'esercizio dell'impresa» (v. l'art. 2710 cod. civ., che si spiega nel presupposto di una regolarità della loro tenuta e di una parità di posizioni tra parti che possono entrambe avvalersi della propria contabilità e verificarne la concordanza con quella dell'altra).
La segnalata esigenza di regolarità delle scritture contabili spiega infine perché la legge si preoccupi di precisarne i criteri sia sul piano formale sia su quello sostanziale: per un verso si richiede che i relativi libri siano numerati e, in alcuni casi, bollati (v. l'art. 2215 cod. civ.), per un altro si richiamano le «norme di un'ordinata contabilità» e si dettano in particolare regole volte a prevenire l'eventualità d'alterazioni successive (v. l'art. 2219 cod. civ.).
3. Capacità e impresa commerciale. Sembra fuori questione che l'impresa, quindi l'applicazione della disciplina per essa dettata, è riconoscibile sulla base di parametri soltanto oggettivi. a tal fine rileva l'attuazione in fatto di comportamenti corrispondenti alle delineate caratteristiche dell'attività imprenditoriale, e nessun ruolo può svolgere un intento del soggetto.
Perciò, volendo riprendere un tema già accennato, sarebbe comunque fuori luogo intendere in termini soggettivi lo «scopo di lucro» di cui tradizionalmente si discorreva; mentre, impostato il discorso con riferimento ai modi oggettivi dell'attività, esso viene in definitiva a identificarsi con la sua «economicità».
Chiara è la diversità di prospettive rispetto a quella tipica del sistema negoziale (e, come osservato, ai consueti criteri di classificazíone dei fatti giuridici). Ma è anche chiaro come ciò non possa escludere, poiché dall'individuazione di un'impresa conseguono specifici obblighi e responsabilità (lo «statuto» dell'imprenditore appunto), l'esigenza che l'attività imprenditoriale sia riferibile al soggetto e la necessità di criteri utilizzabili a tal fine.
Ciò consente di comprendere, di nuovo sulla base di una di